Una grande distesa di plastica copre un bel tratto del centro di Palermo, “abbellisce e decora” il suo salotto buono.
Sono decine e decine di gazebo, per lo più bianchi, inframmezzati da altri gialli, delimitati da due grandi porte, retti da tubolari, che serviranno a vendere i prodotti dell’agricoltura, della pastorizia e cibarie di varia natura, che sicuramente saranno di buona qualità e di buon gusto. Per molti tuttavia si tratta di una iniziativa, invece, di cattivo gusto, da strapaese, da terzo mondo, senza offesa per quel mondo.
Forse sono gli snob che storcono facilmente il naso. Certo non si tratta di un arredo sobrio ed elegante, almeno secondo i canoni di una estetica consueta.
Quell’insieme di tendaggi che invadono via Ruggero Settimo, Piazza Politeama e via Emerico Amari – che per raggiungerli in automobile sarà davvero una bella impresa, a conferma del fatto che il “traffico” è uno dei problemi più veri di Palermo -, non rimandano a quanto di solito si immagina debba essere l’addobbo natalizio di una grande città.
Spezzano, peraltro, uno degli assi viari più belli d’Europa, levano la vista del teatro Politeama, creano una sorta di cintura tutto intorno alla statua di Ruggero Settimo, che qualcuno immagina guardi con disgusto quell’apparato, e si collegano, a poche centinaia di metri di distanza, con via Maqueda, da tempo suq di cibi anche esotici, bevande e gelati.
Eppure, può anche darsi che le critiche siano frutto di un pregiudizio, che magari ha spinto coloro che hanno autorizzato la collocazione dei “baracchini” a promettere che non lo faranno mai più, che quelle critiche vengano da chi non capisce che le contaminazioni possono risultare opportune, le sperimentazioni utili per accostare il nuovo al tradizionale.
Ricordate le polemiche che suscitò la piramide dell’architetto Ming Pei davanti al Louvre a Parigi? Allora puristi e tradizionalisti temettero che la Cour Napoléon, la costruzione che risale al 1200, diventasse una sorta di Disneyland.
Ormai, da più di trent’anni quella piramide è parte integrante di uno dei più grandi musei del mondo e realizza un accostamento tra un’opera contemporanea e un’antichissima costruzione.
Si dirà che l’insieme di capannette di plastica collocate nel centro della città risulti ben più ingombrante della piramide. Eppure, con grande sforzo di fantasia, può richiamarla, almeno per i materiali freddi, e in questo caso anche brutti, utilizzati.
Quanto a linearità ed eleganza, il riferimento va cercato con lo stile e il senso estetico di coloro che hanno autorizzato questa “installazione”, non certo con quelli dell’architetto sino americano e di Mitterrand.
E poi, oltre a favorire i coltivatori diretti, che meritano ogni attenzione – ché potrebbero essere sostituiti in modo permanente con lo spostamento del mercato ortofrutticolo -, potranno diventare un richiamo per turisti e visitatori.
Dove lo trovano un ambaradan così particolare, insolito e audace?
Insieme ai monumenti che testimoniano una storia ricca di sovrapposizioni, di stili e culture diversi, si potrà ammirare un’opera contemporanea, un grande, ininterrotto complesso di pagliai di plastica tenuti su da tubolari di ferro.
Vivendo proprio lì, a contatto con questo “villaggio”, me lo potrò godere pienamente, acquistando prodotti genuini.
Spero comunque non manchino le frittole, le rascature e la quarume, tutte “cifra” di una città d’arte.
E mi aspetto di sentire le cornamuse, di vedere il bue e l’asinello, quelli veri, e il grande Quararone con il panno a coprire gli intrugli che, afferrati con mano lesta, mi consentiranno uno spuntino leggero e salutare.