Nei fiumi di cartelle stese in questi giorni dagli uffici stampa per esaltare le vittorie elettorali di Tizio o di Caio, non c’è mai spazio per la parola “sconfitta”. O per un onesto “mea culpa”. Anzi, come sottolinea Valeria Sudano, sembra che la nuova moda sia quella di buttare la croce addosso agli alleati. Sta accadendo in modo abbastanza plateale tra Lega e Fratelli d’Italia. Ma di sconfitta, appunto, nessuno parla. Tanto meno chi ha perso davvero: a cominciare dal Partito Democratico.
Dopo qualche intervento alle emittenti locali nel pomeriggio dello spoglio, per ribadire che il Pd aveva stravinto a Carlentini, del segretario Anthony Barbagallo si sono perse le tracce. L’ex deputato regionale, oggi di stanza alla Camera dei Deputati, non è noto per la vis polemica, infatti ha già rimandato il regolamento di conti con chi chiede la sua testa alla direzione regionale. All’indomani dello stillicidio delle Politiche, con Regionali annesse, molte anime irrequiete del Pd giudicarono la sua gestione come un fallimento. Oggi è tornato a farsi sentire l’ex partigiano Antonio Rubino, assieme a pochi altri: ha definito “catastrofico” l’esito delle Amministrative, dove il centrosinistra porta a casa appena un comune sui quindici al voto col proporzionale: fra due domeniche potrà rifarsi, in parte, ad Aci Sant’Antonio.
Almeno il Pd è riuscito a superare la soglia di sbarramento a Catania, dove piazza tre consiglieri comunali, e a Ragusa, dove assieme al movimento Territorio riconducibile all’on. Nello Dipasquale, supera agevolmente il 10 per cento. Le Comunali di Catania, invece, rischiano di aver chiuso per sempre – più di quanto non abbia fatto l’ultima sentenza della Corte dei Conti – la carriera politica di Enzo Bianco. L’ex sindaco, che avrebbe voluto ricandidarsi a sindaco in qualità di “civico”, non ha potuto farlo a causa della decennale interdizione dai pubblici uffici per il suo operato pregresso. Da sindaco, va da sé. Fu tra gli artefici, secondo i giudici, del dissesto finanziario. Raggiunto dalla feroce sentenza, ha fatto un passo di lato e, accordandosi con il candidato del campo largo Maurizio Caserta, gli ha offerto un ramoscello d’ulivo: una lista civica col suo nome, capeggiata dalla figlia, che però si è fermata a un misero 2,5% (per l’erede Giulia appena 345 preferenze).
Nella prima fase della sua campagna elettorale, poi stroncata di botto, Bianco aveva stretto una sincera alleanza con Giancarlo Cancelleri, ch’era già entrato in rotta di collisione coi Cinque Stelle. L’ex sottosegretario alle Infrastrutture, però, non aveva ancora ceduto alle lusinghe di Schifani, che l’ha accolto in Forza Italia durante una celebre mattinata al Politeama di Palermo. “Nessuna rendita”, si affrettò a dire il presidente della Regione, per spegnere sul nascere le sirene berlusconiane. Il risultato? Una presenza anonima nelle urne, dove i candidati di ispirazione nissena, come riportato da Live Sicilia, non hanno conquistato seggi in Consiglio comunale. A Catania s’è preso tutto Marco Falcone, che nelle ultime settimane era quasi considerato un ostacolo. Falcone, che s’è rifiutato di votare il provvedimento sulla riorganizzazione delle Camere di Commercio, approvato in giunta alla vigilia del voto, è uscito con un comunicato entusiastico. Forte dei tre consiglieri eletti, tra cui un ventenne: “Dedichiamo il successo a Berlusconi”. Ora pregusta di sfilare l’assessorato al commissario Caruso, designato in prima battuta dal sindaco Trantino. Resta in controluce la sconfitta di Nicola D’Agostino, che ha un’ultima possibilità per ben figurare: ad Acireale, nel ballottaggio che coinvolge il suo fedelissimo Roberto Barbagallo.
Malissimo un’altra figura cardine della nuova Forza Italia: il capogruppo all’Ars, Stefano Pellegrino. Nella sua città, Trapani, gli azzurri hanno preso il 3,6 per cento e sono rimasti fuori da tutto. Mentre la new entry Caterina Chinnici, come da costume, è rimasta alla finestra. Non ha partecipato alla contesa, ché non è di sua competenza. Lei utilizza i partiti come taxi, per sfuggire agli acquazzoni (come quello che ha investito il Pd) e presentarsi alle Europee. Insomma, per se stessa. E con tutto il rispetto del mondo per la sua storia personale e familiare, è la prima figura istituzionale cui si concede di tutto senza avere in cambio di niente. Neppure un misero voto quando occorre.
Tornando a Cancelleri, fra i primissimi a congratularsi con Enrico Trantino, la mente va subito ai Cinque Stelle. Cui l’ex portavoce aveva augurato – almeno – di superare lo sbarramento. La notizia è che ce l’hanno fatta per un pelo. Anche a Ragusa, dove hanno eletto il primo sindaco siciliano dieci anni fa, in una provincia che è sempre stata un autentico granaio di voti, il M5s entra in Consiglio comunale per il rotto della cuffia. I grillini restano fuori a Siracusa (3,99%) ed esultano per la vittoria di Paceco. Pensate un po’: Paceco (Tp) come foglia di fico per mascherare le vergogne di un risultato che aveva persino il traino della visita di Giuseppe Conte. “Le amministrative – ha detto il referente provinciale, Nuccio Di Paola – non sono mai state il nostro pezzo forte e l’alta percentuale di astensionismo, alimentato dai clamorosi e per nulla eleganti cambi di casacca, non ha certamente avvantaggiato il voto d’opinione. Ai delusi della politica è difficile spiegare certi comportamenti, ma disertare le urne è sempre la scelta più sbagliata”. Anche qui: nessun accenno alla parola “sconfitta”. Nessun piano da rivedere. E’ sempre colpa degli altri o di chi non vota.
Chi invece è rimasto ai margini di questa competizione elettorale sono i centristi, quelli del Terzo polo disgregato. Calenda e Renzi sono rimasti in disparte. Armao anche. Italia Viva dice di aver “eletto 45 amministratori tra sindaci, assessori e consiglieri comunali”, forse all’insaputa dei suoi elettori (dato che il simbolo non è comparso su alcuna scheda). Di Azione si ricorda solo l’appartenenza di Francesco Italia, sindaco di Siracusa che si giocherà la conferma al ballottaggio. Per il resto tabula rasa. Forse bisognerebbe aggiornare l’ultima moda: non solo buttare la croce addosso agli alleati, ma addirittura non presentarsi affatto.