Nonostante il ritiro di Carolina Varchi, la lotta per diventare sindaco di Palermo resta una prerogativa di molti. Troppi. Sono dieci i candidati alla poltrona più ambita di palazzo delle Aquile. La maggior parte di essi, però, sono semplici figuranti. Con pochi voti e zero chance. Al massimo potranno “rubare” qualche manciata di preferenze a destra e a manca, condizionando l’esito del primo turno. Poi disperderanno l’elettorato (esiguo) in vista di un ballottaggio che pare sempre più probabile. E che vedrà al centro della contesa due tra Miceli, Cascio e Lagalla. Sempre che il centrodestra, con una piroetta finale, non decida di convergere su un candidato unitario.
Dall’altra parte della barricata, Pd e Cinque Stelle hanno deciso di affidarsi all’architetto Miceli. “Sarò Franco” è il suo slogan. L’eccessiva franchezza e le critiche piovute sull’Amministrazione Orlando per la gestione dell’emergenza ai Rotoli, ha provocato subito una frattura con l’assessore Tony Sala, che l’ha accusato di fare proclami. Piccoli incidenti di percorso che sono destinati a ripresentarsi: è forte la voglia di cambiare registro e dichiarare chiusa un’esperienza, quella di Orlando, che dura ormai da trentacinque anni (al netto della parentesi Cammarata). Il “campo largo”, però, sembra disposto a perdonargli tutto. Miceli è il volto (semi) nuovo della politica, e ha ottenuto dai partiti la prerogativa di poter dare le carte. Essere l’interprete e la sintesi di quel mondo, gli permetterà senz’altro di essere competitivo. Parte in pole position, e da una posizione professionale solida e affermata (è stato presidente nazionale dell’Ordine degli Architetti).
Nel centrodestra sono state settimane di marasma. Ma entrambi i contender – Lagalla Roberto e Cascio Francesco – hanno le carte in regola per ben figurare. Nella lotta a chi è più “civico” – come fosse un merito affrancarsi dai partiti – la battaglia si fa cruenta. Lagalla, alla presentazione della candidatura, si era etichettato come “homo civicus”, dimenticando i trascorsi più recenti nel governo Musumeci e il suo passaggio, netto e inesorabile, nelle file dell’Udc. L’ex rettore, molto apprezzato nella Palermo bene, è stato eletto all’Assemblea regionale a capo del suo movimento (Idea Sicilia) nell’ambito di uno schieramento ribattezzato Popolari e Autonomisti: né gli uni né gli altri correranno al suo fianco. Ma Lagalla è pur sempre un maestro delle preferenze: nel 2017 ne accumulò 8.170, le stesse di Toto Cordaro, suo “compagno” di giunta. Nelle liste a supporto dell’ex assessore alla Formazione, si cela l’apporto di Italia Viva. Camuffato sotto le sigle di ‘Lavoriamo per Palermo’ (i colori sono simili a quelli del logo renziano), dopo che la lista inventata da Faraone – anch’egli ritirato – ha perso il riferimento a ‘Riformisti e Popolari’. Un modo per non creare imbarazzi a Giorgia Meloni, che ha scelto di aderire al progetto e userà Palermo per misurarsi con Salvini.
Anche Cascio, però, è un pezzo forte. E ha tutto il diritto di sentirsi civico, giacché non frequenta i palazzi del potere da un bel po’ di tempo. Nel 2018 non superò lo scoglio delle elezioni Politiche (fu sconfitto nel collegio uninominale di Palermo-Resuttana da un Cinque Stelle) e poco tempo prima, nel 2016, aveva lasciato l’Ars per effetto della Legge Severino e in seguito a una condanna in primo grado per corruzione. In questi anni si è distinto per aver preso il posto di Pietro Bartolo alla guida del poliambulatorio di Lampedusa, dove l’estate scorsa ha vaccinato contro il Covid, dichiarando che “gli sguardi della gente mi emozionano più dei voti”. Si definisce “più civico di tutti gli altri” e ne ha ben d’onde. Ma è anche un grande catalizzatore di voti (ne ottenne 12.395 alle Regionali del 2012, oltre 27 mila nel ‘14 alle Europee), oltre che uno storico esponente di Forza Italia senza tessera (non l’ha più rinnovata). “Mi farei da parte solo se Silvio me lo chiedesse – ha sibilato nelle ultime ore – Ma credo non ci siano più la condizioni”. E’ riuscito a mettere insieme quattro partiti.
Difficilmente Cascio e Lagalla si faranno intimidire da altri esponenti del centrodestra. Anche se la presenza di Totò Lentini qualcosina potrebbe togliere. L’esponente di Alleanza per Palermo ha detto di rimanere in campo, con un programma già scritto e un paio di liste civiche. Pur senza il sostegno del suo partito: il Nuovo Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo. L’ex governatore aveva partecipato all’apertura della sua campagna elettorale, poi, dopo aver provato a farlo recedere dagli intenti, l’ha piantato in asso per aderire al progetto di Ciccio Cascio. Lentini potrebbe accontentarsi delle briciole. Lo stesso destino riservato a Francesca Donato: no Vax incallita, europarlamentare fuoriuscita dalla Lega (da cui ha drenato i voti, soprattutto nell’Isola, per volare a Bruxelles): la lista si chiama Rinascita Palermo, ma i big sponsor latitano.
Un discorso a parte merita Fabrizio Ferrandelli. Uno che ci ha già provato due volte, anche se le premesse erano diverse. Nel 2012 vinse le primarie del Pd, per poi ritrovarsi (comunque) contro Orlando ai nastri di partenza. Nel 2017, invece, incassò il sostegno di Miccichè e dei centristi, ma non si avvicinò nemmeno al professore, uscendo sconfitto al primo turno. La carriera dell’ex leader dei Coraggiosi ha spiccato il volo a Roma, dove oggi Ferrandelli riveste un ruolo importante all’interno di +Europa, il partito di Bonino e Della Vedova. Mentre a Palermo, questa volta, sarà difficile confermare le 84 mila preferenze di cinque anni fa. In parte è “colpa” di Carlo Calenda, che dopo aver blindato l’alleanza tra Azione e +Europa, ha posto dei paletti verso il resto del mondo. E non è neanche scontato che l’adesione di Ugo Forello e del suo gruppo (Oso) porti a una sommatoria di voti: da candidato sindaco dei Cinque Stelle, all’ultima tornata elettorale, ne conquistò 44 mila. Potrebbe dar fastidio alle liste grilline, ma nulla più.
Nell’elenco dei voti a perdere, senza mancare di rispetto a nessuno, vanno iscritti di diritto gli altri candidati indipendenti. Quella in campo da più tempo è Rita Barbera, l’ex direttrice del carcere dell’Ucciardone, con la sua “rivoluzione pacifica”; a ruota c’è Ciro Lo Monte, ex architetto sostenuto dal Popolo della Famiglia e da ItalExit, il movimento no-Euro, no-Vax, no-tutto, di Gianluigi Paragone; segue Giuseppe Catalano, per la lista Forza Palermo, che ha l’obiettivo di riportare al centro le circoscrizioni; e infine, nelle ultime ore, si è aggiunto Gaetano Cammarata, per tutti ‘Tanino’, pensionato. Sono loro i fratelli e sorelle dello ‘zero virgola’. I protagonisti che non ti aspetti. Quelli che, non avendo nulla da perdere, trovano il modo di partecipare e di competere. Come se la corsa a sindaco di Palermo fosse una partita a bocce, di sabato pomeriggio. E non una questione maledettamente seria per una città in cerca di riscatto.