4 ottobre 2021. Il centrodestra è reduce da un’imbarcata clamorosa, avendo perso (al primo turno) a Milano, Napoli e Bologna. Questo è il commento di Matteo Salvini al Tg1: “In alcune città siamo arrivati a scegliere troppo tardi i candidati da opporre al centrosinistra. Abbiamo offerto ai milanesi, ai bolognesi o ai napoletani troppo poco tempo per conoscerli”. La disfatta sarà completa un paio di settimane più tardi, con le sconfitte di Roma e Torino. Ma Salvini, il primo lunedì d’ottobre, è già proiettato al futuro: “L’anno prossimo voteranno 25 città importanti, tra cui Genova, Palermo, Parma, Padova, Lecce: il centrodestra ha il dovere di individuare i suoi candidati il prima possibile. Entro novembre dobbiamo scegliere con gli amici Giorgia e Silvio: candidati civici o non civici, per avere almeno 5 mesi di tempo per presentarli e far conoscere i programmi”.
Risultato? Il 2 maggio 2022, a poco più di un mese dalle Amministrative di Palermo, il centrodestra non sa ancora se presentarsi con uno o due candidati. Al momento sono tre, dato che rimane in campo pure Totò Lentini, nonostante mancato sostegno degli Autonomisti. Questa è la fotografia più disarmante per una coalizione che ha smesso di essere squadra da un pezzo. Per un insieme di partiti che si è liquefatta non tanto (e non solo) sulla scelta del candidato sindaco di Palermo; ma sull’impuntatura di Nello Musumeci (trasmessa per osmosi a Giorgia Meloni) che pretende di inserire nella stessa partita la propria riconferma a palazzo d’Orleans. Così, pur di avere conferma dello scettro in autunno, Musumeci e la Meloni mettono a repentaglio l’affermazione del centrodestra in una città spolpata negli ultimi dieci anni dalla gestione di Leoluca Orlando. E, solo per questo, più che propensa a cambiare bandiera.
Giorgia, nel corso della conferenza programmatica di Fratelli d’Italia, che è si è tenuta nel weekend a Milano, ha rimarcato che il suo principale interesse non è Palermo – dove ha fatto ritirare persino la Varchi, candidata fra le più autorevoli – ma la Regione: “Un governatore uscente di centrodestra capace come Nello Musumeci che intenda ricandidarsi non si manda a casa per far dispetto a qualcuno perché magari è troppo vicino a Fratelli d’Italia. Lo dico per i cittadini siciliani che non meritano di vedere la Sicilia riconsegnata alla sinistra per i dispetti”. I cittadini siciliani hanno tutto il diritto di rivotare Musumeci, o magari di spedirlo a casa, ma che diritto ha la politica di interrompere così bruscamente la possibilità di dare a Palermo, la quinta città d’Italia, un’Amministrazione decorosa? Nessuno, forse. Anche se dai veti incrociati e dal teatrino delle ultime settimane, non si intravede alcuno spirito costruttivo. Se non in forma isolata, e da parte di pochi interpreti.
Un appunto, però. Giorgia Meloni si sta dimostrando un’ottima leader d’opposizione. Restando dall’altra parte della barricata, rifiutando l’ingresso nel governo dei ‘migliori’, parlando di Mario Draghi come fosse un Giuseppe Conte qualunque, è riuscita a catalizzare una buona fetta dell’opinione pubblica. Per questo, dal palco di Milano, ha rivendicato (più o meno sensatamente) la leadership del centrodestra. Ha messo Salvini e Berlusconi con le spalle al muro, ‘minacciando’ di non fare apparentamenti nei collegi uninominali alle prossime Politiche. Sondaggi alla mano, Giorgia è la migliore. La più forte. E anche la più carismatica. Ma è anche l’unica a non saper riversare il suo enorme consenso in azione di governo. Con l’eccezione di Abruzzo e Marche, il progetto di Fratelli d’Italia resta confinato al ruolo di opposizione, come ha dimostrato la partita della Puglia (con la candidatura perdente di Raffaele Fitto) ma anche nelle grandi città.
E qui torniamo con la memoria al 2021. Ultimi scorci di centrodestra unito, ma già dilaniato dalla rivalità tra la leader di FdI e Matteo Salvini. A Roma, il candidato sindaco unitario viene ufficializzato il 9 giugno, quattro mesi prima dell’apertura delle urne. Si chiama Enrico Michetti, avvocato ed esperto di diritto amministrativo, 55 anni. E’ la Meloni a proporlo. “Io non conosco Michetti, non sono in grado di esprimere un giudizio. Avendo io una cultura classica della politica, penso che alcune prove elettorali vengano affrontate sulla base della conoscenza dei candidati da parte dei cittadini”, disse Maurizio Gasparri pochi giorni prima dell’investitura. Diventerà il “civico ignoto”. Il tribuno delle radio romane – Michetti è anche questo – perderà al ballottaggio con Gualtieri.
Lo stesso giorno in cui a Roma viene ufficializzato Michetti, a Torino la scelta ricade su Paolo Damilano, imprenditore del Food & Beverage. E già impegnato in un progetto civico che ricorda tantissimo, almeno per il claim, l’esperienza siciliana: si chiama Torino Bellissima. Anche per lui, però, l’esperienza elettorale sarà un rapido collasso. Cede al ballottaggio con Stefano Lo Russo, esponente del centrosinistra. Al ballottaggio non ci arriva nemmeno, anzi si ferma sotto il 30 per cento al primo turno, il candidato bolognese Fabio Battistini. Non va meglio a Milano, dove il “pediatra con la pistola”, al secolo Luca Bernardo – altro civico – viene malamente sconfitto da Giuseppe Sala al primo turno, raggranellando un misero 32 per cento. Bernardo, fra l’altro, viene annunciato alla città il 6 luglio, appena tre mesi prima della competizione elettorale. E si dimostra una mina vagante: a un certo punto ‘minaccia’ il ritiro se i partiti non gli avessero dato i soldi per finanziare la campagna elettorale. Anche a Napoli il centrodestra si riduce in frantumi: stavolta, il ben noto candidato Catello Maresca (professione magistrato) viene schiantato al primo turno da Gaetano Manfredi, ex ministro dell’Istruzione. Schiantato col 22%. Un disastro.
Anche Maresca fu annunciato tardino. Ma assai prima dei vari Cascio o Lagalla. Che a un mese dalle elezioni s’interrogano sul proprio destino. Il primo ha detto che si ritirerà solo se sarà Silvio Berlusconi a chiederglielo (e fra l’altro i presunti alleati non sembrano dargli uno straccio di motivazione utile, data l’insistenza su una questione – palazzo d’Orleans – che esula dal destino di Palermo). Il secondo, l’ex rettore, è convinto di andare avanti. Ha scelto un percorso ‘civico’, finché l’Udc e Fratelli d’Italia non si sono fiondati su di lui, certi di puntare sul cavallo giusto. Anche se qui gli unici cavalli che fanno capolino sulla scena, e che rischiano di influenzare l’intero quadro, sono quelli di Ambelia. Cioè quelli che Nello Musumeci, restando sul trono d’Orleans, proverà a rilanciare ancora, e ancora, e ancora, garantendo alla Sicilia un turismo sportivo senza precedenti. Lo stesso motivo, forse, per cui Fratelli d’Italia si ostina a chiederne la riconferma. Vuoi mettere qualche altra edizione della Coppa d’Assi, con al fianco l’assessore Manlio Messina, in pompa magna?