Il 22 gennaio dello scorso anno, l’avvocato italo-americano Joe Tacopina, attraverso lo studio legale “Tonucci & Partners”, aveva fatto recapitare a Dario Mirri una manifestazione d’interesse per l’acquisto del 40% delle quote del Palermo, che Tony Di Piazza, imprenditore italo-americano, aveva già intenzione di mettere in vendita a causa di alcune divergenze con i potenti membri della Damir. Tacopina e Di Piazza si erano parlati. L’allora vicepresidente rosanero – prima che rinunciasse al prestigioso incarico – aveva tentato, persino, di portarlo allo stadio in occasione del derby con il Messina, ma la società lo convinse a fare un passo indietro. Sarebbe stato inopportuno.
Un anno dopo è cambiato il mondo. E Tacopina, alla vigilia di San Silvestro, è diventato informalmente il “salvatore” del Catania Calcio, salutato con enfasi dal sindaco Salvo Pogliese. Dopo aver fallito l’assalto al Palermo, e aver concluso la sua esperienza alla presidenza del Venezia, Tacopina ha deciso di rimanere in Italia, mettere su una cordata d’imprenditori e provare a rilanciare l’immagine degli etnei, reduci da qualche anno di purgatorio. Il closing dovrebbe concludersi il 9 gennaio, mentre la firma definitiva è attesa per il 31. “Ci aspettiamo da Tacopina progettualità e lungimiranza – ha detto Pogliese – ben sapendo che le cose non si ottengono subito”.
La mamma di Joe Tacopina, Josephine, era originaria di Montelepre, in provincia di Palermo. Mentre Tony Di Piazza dovette lasciare la Sicilia a 8 anni, quando il padre decise di intraprendere la carriera da muratore prima in Svizzera e poi negli States. I due profili, quattordici anni di differenza, sono accomunati da parecchie cose. La provenienza, gli anni americani, la passione per il calcio. Quest’ultima ha (ri)condotto Di Piazza a Palermo dopo anni d’assenza. S’era accontentato di ospitare alcuni calciatori rosanero a New York, dove ha costruito la sua fortuna nel campo immobiliare e tramandato la cultura italiana ai figli d’emigranti (è tuttora il presidente dell’associazione italiana di NY). Poi è tornato in Sicilia per dare sostegno ai Mirri, fondando Hera Hora, la holding che dall’estate 2019, dopo l’aggiudicazione del bando dell’Amministrazione Orlando, controlla le sorti del nuovo Palermo. Con alterne fortune: dopo la promozione in C, giunta al termine di un campionato disputato a metà, i rosanero galleggiano fra i professionisti, a metà classifica. I primi mesi della stagione del rilancio, però, sono stati condizionati dal Coronavirus e da prestazioni non troppo incoraggianti.
Il sodalizio fra Di Piazza e Dario Mirri è durato poco. Più che un rapporto stabile, si è trattato di un’infatuazione. L’italo-americano, nella posizione scomoda si socio di minoranza, è stato escluso dalle decisioni più importanti e, dopo essersi lamentato in ogni modo (senza ottenere nulla), ha deciso di esercitare il diritto di recesso delle quote del club: sarà fuori l’11 giugno. Con l’imprenditore in uscita, i Mirri devono acquisire le quote o, in mancanza di liquidità, rivolgersi altrove: così nelle ultime ore è riemerso il nome di Massimo Ferrero, che aveva già provato ad acquisire il club dopo il fallimento di due estati fa. Ai cronisti che gli hanno chiesto un commento sulle attuali difficoltà societarie del club, ha risposto “io ci sono”. Senza precisare, tuttavia, quali condizioni si aspetta: se l’acquisto dell’intero pacchetto azionario (probabile) o l’ingresso al posto di Di Piazza. Ma Ferrero, che guida un club di Serie A come la Samp, e al netto di alcuni tratti esageratamente pittoreschi, non verrà certo a reggere la candela a un “collega” come Mirri, sempre più interessato alle vicende extracampo. L’ultimo grosso affare, a cui anche Di Piazza aveva dato il proprio benestare, è la costruzione di un centro sportivo a Torretta (il Palermo F.C. si è già aggiudicato il bando).
Per mandare in porto la trattativa passeranno mesi. Nel frattempo, a Catania, Joe Tacopina avrà già dimostrato di che pasta è fatto, quali sono le sue ambizioni, dove arriveranno i suoi denari. L’avvocato newyorkese, che negli ultimi ha provato la scalata al calcio che conta (è stato anche vicepresidente della Roma, socio di Saputo al Bologna e presidente del Venezia), non teme le ripartenze dal basso. Coi lagunari è riuscito nella scalata dalla Serie C alla Serie B. Il suo obiettivo è far dimenticare l’ultima stagione disgraziata di Pulvirenti, che l’estate scorsa ha rischiato di trascinare il club rossazzurro nell’abisso. Ma alcuni imprenditori locali hanno salvato la matricola, consentito alla squadra di iscriversi al campionato e, adesso, di navigare in buone acque: il Catania, alla pausa di Natale, è nel gruppone delle terze in classifica.
La presenza di due paisà come Di Piazza e Tacopina – l’uno in uscita, l’altro in entrata – sottolineano quanto sia difficile per il calcio risultare succulento agli occhi degli imprenditori locali. Soprattutto a certi livelli. Per la famiglia Mirri è stato “facile” intervenire con il club in Serie D, un campionato che non comporta grosse spese; ma si sta rivelando assai più complicato, a causa delle difficoltà di questa stagione (col botteghino azzerato e in mancanza di risultati), contenere le perdite. Per questo l’ingresso di nuovi soci, o una cessione del club, non appaiono inverosimili. Sarebbero, forse, l’unico modo per non rimetterci e per non trascinare a fondo la fede rosanero e le buone intenzioni della vigilia. A Catania, invece, il mito di Pulvirenti si è inabissato dopo gli anni della A. Fino alle ultime stagioni, tragiche, in cui i calciatori – in nome del “risanamento” – venivano invitati ad accasarsi altrove. E in cui, l’estate scorsa, si è sfiorato il dirupo del fallimento.
La presenza di Di Piazza e Tacopina, il cui impatto economico è tutto da verificare (per il primo, forse, il tempo è già scaduto), segna un approccio suggestivo e persino un po’ romantico alle sorti del “nostro” pallone. E ha avuto il merito di riavvicinare la politica, i sindaci e le amministrazioni comunali (in funzione di vigilantes) alle sorti di due club storici, che in passato sono rimasti ostaggio dei deliri d’onnipotenza di alcuni proprietari. Di questo gli va dato atto.