Manca solo un pittore eccelso come Diego Velasquez che varchi la soglia di Palazzo d’Orleans e riproduca il gruppo di famiglia in un dipinto destinato alla storia e – perché no? – all’immortalità. La corte, del resto, è già al completo: sul trono giganteggia lui, il viceré Renato Schifani; alla sua destra siede la zarina, Simona Vicari, promossa a quel ruolo negli anni dorati di Palazzo Madama, e alla sinistra il fedelissimo Totò Sammartano, intoccabile principe dei sovrastanti. Poco più giù, ma non accosciato, c’è Marcello Caruso, che ricopre sia la funzione di ciambellano sia quella di cerimoniere sia quella di ventriloquo. Mentre ai lati del quadro si stagliano, pettoruti e imperiosi, i tre vassalli: Alessandro Dagnino, avvocato tributarista ancora fresco di nomina al vertice del Bilancio; Gaetano Armao, l’opaco avvocato d’affari con la potentissima moglie piazzata nel cuore del più sensibile palazzo romano, quello della Giustizia; e Robertino, detto l’Infante, erede universale dell’augusto studio legale Pinelli-Schifani.
Fatta eccezione per due o tre campieri sparsi qua e là a tutela delle contrade periferiche del feudo – Giovanna Volo, Salvatore Barbagallo, Alessandro Aricò, Pietro Alongi – tutti gli altri non contano. Non contano soprattutto gli undici deputati di Forza Italia. I quali, nel corso della cosiddetta Danza delle Mance – quel rito fescennino messo in piedi due volte l’anno per tenere a bada le avide tribù dell’Assemblea regionale – sono stati tutti degradati, ex abrupto, al ruolo di gabelloti: servi della gleba, per dirla con gli storici del Medioevo, che l’Eccellentissimo Padrone ha costretto caparbiamente non solo a rompersi la schiena per suo conto, ma anche a pagargli una tassa onerosa, ingiusta, selvaggia. Lo riferisce una puntuale cronaca del Palazzo scritta da Mario Barresi. “Certo, c’è stato un notevole imbarazzo quando da Palazzo d’Orleans – si legge su La Sicilia di Catania – è arrivato l’input di ridurre di 80 mila euro il budget di ogni forzista nella manovrina estiva”. I messaggeri del Regno – continua l’articolo di Barresi – hanno notificato che “anche il presidente è un deputato e dunque la somma assegnata al gruppo si dovrà dividere per dodici e non per undici”. Era un consiglio che non si poteva rifiutare. I malcapitati hanno ovviamente ubbidito e con l’obolo strappato con spregiudicatezza agli undici parlamentari – la gabella, appunto – il tirchissimo Viceré si è costruito, senza intaccare i propri bilanci, il gruzzolo necessario per assegnare un contributo di 300 mila euro al Trapani Calcio (dove Robertino, l’Infante di casa Schifani, figura come “general counsel”) e un aiutino – un altro ancora – di 150 mila euro ad Andrea Peria, il pagnottista di prima fila che l’Eccellentissimo Signore delle Ferriere ha deciso di piazzare addirittura alla sovrintendenza del Teatro Massimo. Farà da apripista Marcella Cannariato, moglie del festaiolo ras dell’autonoleggio Tommaso Dragotto, nominata ieri proprio dal viceré Schifani nel Consiglio di Indirizzo della Fondazione. Si prepara, insomma, una nuova stagione di spettacoli, balli, concerti, giochi e libagioni. Un ciclo che, a dispetto di tutte le noiose e fastidiose emergenze, alimenterà giorno e notte lo spasso, il divertimento e l’allegria del felicissimo Regno Feudale di Sicilia.