La nave cisterna da far attraccare a Licata? Secondo il prefetto di Agrigento “costa molto di più dell’acqua minerale in bottiglia” (e infatti la Protezione civile sembra aver accantonato l’idea). Le emergenze, però, stanno “bruciando” decine di milioni che si sarebbero potuti utilizzare diversamente: per gli investimenti, ad esempio. Invece ci ritroviamo in questa folle corsa all’indietro, per cercare di tamponare le carenze ataviche della politica e dell’amministrazione. I soldi non vengono impiegati neppure per la spesa corrente, ma per (cercare di) lenire le ferite. Perché non è solo il caldo, l’assenza di piogge, o lo scirocco. Sono anni e decenni d’inedia da parte della politica e della pubblica amministrazione ad aver provocato il “cinema” che scorre sotto i nostri occhi. Ne parla pure il New York Times, dopo la CNN, ma a Palermo fingono di non capirlo e si arrovellano a individuare soluzioni last-minute che, a differenza dei voli di una volta, costano un occhio della testa.
Prendete la testimonianza dell’associazione Fenice Verde. Sulla base del Sistema europeo d’Informazione sugli incendi boschivi, ha elaborato una mappa da cui emerge un’Isola funestata dagli incendi. Molto più di altre, che condividono le stesse caratteristiche climatiche: “È vero – dice il presidente Emiliano Farinella a Repubblica – che il clima mediterraneo, con le sue estati calde e secche, predispone naturalmente la Sicilia a un rischio elevato di incendi. Tuttavia questa spiegazione da sola non basta a giustificare l’eccezionale frequenza e intensità degli incendi rispetto alle altre regioni del Mezzogiorno. Pensiamo al Sud della Spagna, alla Turchia o all’isola di Creta, che condividono condizioni climatiche analoghe. La differenza sostanziale risiede nella gestione del territorio, nelle pratiche di prevenzione e nell’efficienza delle amministrazioni locali. La Sicilia soffre di una gestione del territorio spesso inadeguata e frammentaria”.
Come la mettiamo, quindi? Chi si è dedicato alla prevenzione o alla campagna anti-incendio, ha fatto fino in fondo il proprio dovere? Non si direbbe. Un paio di mesi fa l’Irfis ha pubblicato un Avviso da quasi 3 milioni per quanti hanno subito danni al patrimonio mobiliare e immobiliare a causa dei roghi della scorsa estate. Intervento di per sé meritorio, approvato con la Legge Finanziaria di inizio anno, che si sarebbe potuto evitare se le cose avessero funzionato a monte. Il Ministero della Protezione civile, dopo l’infinita diatriba fra Musumeci e Schifani, ha deliberato altri aiuti, per circa 6 milioni, dopo aver dichiarato lo Stato d’emergenza nazionale. Che ormai è diventato uno stato d’emergenza perenne. Abbiamo sprecato risorse, circa 230 mila euro ai tempi di Musumeci, per acquistare droni che non potevano volare col vento o con temperature sopra i 40°. La lista è lunga e riguarda altri settori che sono soliti pasteggiare con le emergenze: dalla siccità ai rifiuti.
Sulla crisi idrica, che ormai da mesi si abbatte sull’Isola, ha indagato Fanpage con un’inchiesta assai dettagliata che riguarda Caltanissetta. E ha scoperto che dei venti milioni deliberati dal Ministero della Protezione civile per venire incontro alle prime, ingenti perdite, una quota parte verrà utilizzata per l’acquisto delle autobotti. Un preventivo-tipo, per un’autobotte usata, è di 72 mila euro, con la consegna a 120 giorni. Una presa per i fondelli. La Regione è arrivata persino a comprare il foraggio per gli allevatori, allo scopo di garantirne la sopravvivenza nonostante il massacro: 20 milioni di euro per 70 mila chili di fieno. E non è finita perché nei prossimi giorni “l’assessorato dell’Agricoltura pubblicherà il bando che stanzia 15 milioni di euro per finanziare interventi infrastrutturali per fronteggiare la siccità”, ha detto Schifani.
Che non si arrende e bussa Bruxelles per chiedere manforte: “Se oggi Schifani chiede l’intervento di Bruxelles – scrivono Nuccio Di Paola e Giuseppe Antoci, del Movimento 5 Stelle – è del tutto evidente che il tanto decantato piano da 20 milioni stanziato da Roma non è affatto sufficiente a coprire i danni. Il piano, lo ricordiamo, prevede la messa in ripristino di pozzi e sorgenti, l’acquisto di nuove autobotti e la sistemazione di quelle già in uso, la riparazione di alcune reti di interconnessione, il potenziamento dei sistemi di sollevamento e di pompaggio comunali, per un numero complessivo di 138 interventi. Si tratta in fin dei conti della solita pezza per tamponare un’emergenza che, invece, andava gestita con gli strumenti ordinari molto tempo prima”. Ma gli strumenti ordinari non vanno particolarmente di moda. Gli investimenti che andavano fatti a tempo debito, ad esempio per ammodernare le infrastrutture irrigue dell’isola, e migliorare la capacità di approvvigionamento delle dighe, si sono rivelati un flop clamoroso: 31 progetti su 31 elaborati dai Consorzi di Bonifica sono stati clamorosamente bocciati dall’Europa, che non ha concesso mezzo miliardo a valere sul Pnrr. Siccome non erano soldi “nostri”, qualcuno ha prediletto la sciatteria (progettuale) all’impegno. Al governo, per la cronaca, c’era ancora Musumeci.
Oggi gli agricoltori si ritrovano a pietire un po’ d’acqua, ma a Castelvetrano alcuni di loro hanno protestato di fronte all’immagine di un collettore che necessiterebbe di un (semplice) intervento di manutenzione: il guasto, però, non viene sistemato e l’acqua si disperde. La rete degli sprechi è sempre attiva e, parlando di depurazione – oggi si tenta persino di recuperare la poca acqua degli invasi, ripulendola dai detriti rimasti sul fondo – viene da mettersi le mani ai capelli.
A causa delle sanzioni comminate dall’Europa all’Italia per la mancata depurazione, la Sicilia perde ogni anno venti milioni. L’Isola contribuisce per metà alle procedure d’infrazione contestate dalla Corte europea al nostro Paese, così lo Stato decide di accantonare una parte dei trasferimenti per pagarci le multe. Lo scorso maggio, come scriveva Repubblica, erano 276 gli interventi necessari sull’impianto di depurazione, 67 dei quali già finanziati dalla struttura commissariale guidata da Fabio Fatuzzo, per la realizzazione di reti fognarie e l’adeguamento dei depuratori. Tredici quelli completati. Una miseria.
E che dire degli sprechi generati dalla cattiva gestione dei rifiuti. La carenza di impianti di compostaggio, unita alla saturazione delle discariche (e all’assenza dei termovalorizzatori), ha costretto i sindaci a intraprendere la soluzione più facile e più costosa: cioè lo smaltimento della monnezza fuori regione. Talvolta all’estero. Questo processo ha comportato un aumento secco dei costi: oggi per trasferire una tonnellata di monnezza in Danimarca, il Comune di Messina paga 400 euro a tonnellata. Sono tantissimi soldi: che in parte vengono recuperati dagli enti locali attraverso un balzello sulla Tari; talvolta la Regione ci mette una pezza, stanziando cifre considerevoli (50 milioni con l’ultima manovra correttiva) per assicurare un ristoro alle amministrazioni locali. Li chiamano extracosti, ma in realtà sono soldi che si potevano spendere meglio. Al posto di pagarci la monnezza diretta in Danimarca, ci si poteva fare un impianto green, come nelle regioni evolute. Invece il business delle emergenze è sempre un passo avanti. A qualcuno fa pure comodo.
Nell’ultimo giro in Sicilia, fra Bellolampo e la discarica di Mazzarrà Sant’Andrea (anche questa vittima del fuoco: la bonifica costerà 30 milioni di risorse del Pnrr), la commissione parlamentare Ecomafie ha appurato molti nodi irrisolti: “Una città come Palermo non merita questo tipo di gestione dei rifiuti”, è stato l’incipit di ogni ragionamento. Più in generale, “l’aspetto su cui urge la maggiore verifica è piuttosto quello dei costi del sistema rifiuti: avremo modo più avanti di sentire Schifani, per capire quali sono gli obiettivi per migliorare il sistema. La consegna della settima vasca (di Bellolampo, ndr) è un palliativo, non una soluzione: bisogna piuttosto capire cosa vorrà fare la Regione per favorire lo smaltimento”. Qualsiasi cosa sia, sarebbe utile capire perché solo adesso. L’emergenza non è di oggi.