I convenzionati? Si arrangino

Il nuovo assessore regionale alla Salute, Daniela Faraoni, ha preso il posto della dimissionaria Giovanna Volo

Ci vorranno altri quindici giorni, forse venti, perché l’assessore Faraoni dica ai privati convenzionati di che morte morire. Non le è bastato poco più di un mese ai vertici di piazza Ziino, e non ne sono bastati un paio (pieni) a questo pachiderma che risponde al nome di assessorato alla Salute, per partire una soluzione che sia in grado di salvaguardare 10 mila lavoratori di laboratori d’analisi e ambulatori specialistici. Il nomenclatore tariffario, introdotto il 30 dicembre scorso dal ministro Schillaci, ha previsto una riduzione dei rimborsi per una quarantina di prestazioni in convenzione col Sistema sanitario, per una perdita secca del 20-30%. Ma la Regione, all’appuntamento dell’altro ieri, si è presentata con una proposta francamente incomprensibile: 10 milioni e non ne parliamo più.

Briciole. Che non bastano, secondo le organizzazioni di categoria, a salvaguardare l’erogazione dei servizi e la tenuta dei convenzionati. I quali minacciano azioni forti, come una clamorosa protesta di piazza che potrebbe evolvere nella sospensione delle prestazioni. Sarebbe il caos. “Apprezziamo la chiarezza dell’assessore e gli sforzi dell’esecutivo regionale – ha detto Salvatore Gibiino, del Cimest -. Ma se i propositi sono lodevoli, le cifre indicate non basteranno a compensare le decurtazioni disposte dal Tariffario e a scongiurare il tracollo delle nostre aziende”. Pietro Miraglia, di Federbiologi, chiede “almeno 30 milioni di euro, una ventina per la patologia clinica e il resto da distribuire fra la cardiologia e le altre branche specialistiche”.

Per il momento non ci si avvicina nemmeno, e così la Faraoni ha preso tempo per affinare la proposta definitiva. I soldi messi a disposizione dell’assessorato, qualunque sia la cifra, dovranno passare al vaglio del Ministero della Salute, da cui dipende il “via libera” all’operazione. Questa è direttamente legata alla deroga al Piano di rientro dal disavanzo sanitario, cui la Sicilia è sottoposta da ormai 18 anni, sfruttando un emendamento all’ultima Legge di Bilancio (art.1 comma 322) che va normato per bene. E qui tornano gli interrogativi: cosa si è fatto finora? E’ di alcune settimane fa il comunicato di Schifani, in cui si ribadisce la volontà politica di risolvere la questione: “Voglio rassicurare tutti che siamo impegnati nell’individuare le soluzioni più efficaci e rapide, con la massima attenzione al benessere del nostro territorio”, diceva il governatore il 14 gennaio scorso.

Poi al posto del “cartonato” di Giovanna Volo è arrivata una manager in carriera come la Faraoni: si credeva fosse un passo necessario – visto il curriculum dell’ex direttore generale dell’Asp di Palermo – per rigenerare un apparato farraginoso e incrostato. Invece ci si è incartati come e più di prima, e l’assessore rischia di essere assorbita nelle montagne di carte che rende impossibile andare avanti. La politica, ancora una volta, rischia di cedere il passo alla burocrazia e ai tecnocrati, il cui unico scopo nella vita è quello di ingigantire i problemi scordandosi di segnalare le soluzioni.

Se il “pubblico” fa acqua da tutte le parti, lasciando ai margini una branca funzionale come quella dei convenzionati (assorbono prestazioni che gli ospedali non potrebbero mai e poi mai garantire), non ci si lamenti di fronte all’avanzata dei colossi sanitari del Nord Italia. Come il Gruppo San Donato di Angelino Alfano, che ha preso in mano le redini del reparto di Cardiochirurgia pediatrica del “Civico” di Palermo (8 milioni in tre anni), pur senza brillare; o di Humanitas, che dopo aver acquisito l’Istituto Clinico di oncologia di Catania, ha messo le mani sull’Istituto Polispecialistico Cot di Messina. Questi sono dei carri armati che rastrellano le macerie di un sistema pubblico mal funzionante, e si arricchiscono grazie ai potenti mezzi economici di cui godono (e che utilizzano per attrarre investimenti e personale). Di questo passo la sanità andrà sempre a due velocità. A risentirne sarà l’accesso dei pazienti alle cure. In sintesi, potrà curarsi solo chi ha i soldi, mentre gli altri rimarranno indietro, o addirittura tagliati fuori: per motivi di natura economica, come ovvio; ma anche per le crescenti liste d’attesa, che renderanno le malattie -specie quelle oncologiche- incompatibili coi tempi di una diagnosi. Esempio: a Trapani una donna ha dovuto attendere 8 mesi per un referto istologico e nel frattempo il tumore è andato in metastasi.

Ieri, dopo il report della Corte dei Conti sul potenziamento dell’edilizia ospedaliera, è arrivata un’altra bocciatura feroce da parte del Ministero della Salute. La Sicilia è fra le 8 regioni d’Italia che non garantiscono a pieno le cure. E’ una delle tre regioni a presentare dati negativi sia in termini di prevenzione che di territorio. In sostanza non si fanno abbastanza attività legate allo screening (per cui serve tempo e personale) e non si mettono in atto le linee guida del Decreto Ministeriale n.77 del 2022, che impone una maggiore integrazione fra assistenza ospedaliera e territoriale, con l’implementazione delle cure a domicilio. Quest’ultimo è un passaggio cruciale per dare un senso alla rivoluzione immaginata con la nascita di Case e Ospedali di Comunità, il cui obiettivo è sfoltire la ressa nei Pronto soccorso e assistere i pazienti non acuti, che necessitano di assistenza diversificata.

In mezzo alle numerose criticità che attanagliano il sistema adesso, è sempre più difficile immaginare il futuro del sistema sanitario regionale. Che è impregnato di muffa, di lungaggini, di inefficienza diffusa. Di decisori che si limitano ad assecondare la lentezza dei funzionari; e di una politica che si mostra prona a entrambi, mettendo il naso solo nella nomina dei manager, nei concorsi dei primari, nei trasferimenti degli infermieri. Cose che non sarebbero di sua competenza.  Eppure questa fatica di fondo non è riuscita a innescare una riflessione incisiva, nemmeno da parte delle opposizioni.

L’unica voce fuori dal coro si è levata ieri, è del Movimento 5 Stelle: “Non abbiamo fatto in tempo ad assorbire la botta della bocciatura della Corte dei Conti sul piano di potenziamento delle terapie intensive, sub-intensive e dei pronto soccorso – dice il capogruppo all’Ars Antonio De Luca – che da Roma arriva un’altra batosta sui Lea, che vedono la sanità siciliana al penultimo posto per quanto riguarda la prevenzione e al terzultimo posto per quanto attiene l’area distrettuale, che misura in particolare la qualità di assistenza sul territorio. Come il Titanic, la nave sanità affonda e l’orchestra di Schifani suona imperterrita la stessa musica dicendo che va tutto bene. Non possiamo più tollerarlo, è in gioco la salute dei siciliani, per questo è indispensabile un dibattito pubblico in aula, alla presenza del presidente della Regione e del neo assessore alla Salute, sia sui Lea che sui fondi del Pnrr, che dovevano dare una marcia in più alla sanità siciliana dopo il Covid”. Ma come, solo un dibattito?

Enrico Ciuni :

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