La Meloni benedice Musumeci

Giorgia Meloni, in piedi, assieme al presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci. La leader di FdI è l'ultima ancora di salvezza

La Sicilia a Roma non ha influito granché: se non fosse per le previsioni (avverate) di Gianfranco Micciché, l’Isola non avrebbe lasciato alcun segno sull’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Che però è palermitano, e ci va comunque di lusso. Anche se, a voler scavare, qualche utile elemento di narrativa si trova. In Nello Musumeci, ad esempio, ha prevalso un sentimento di sincero imbarazzo quando, in compagnia degli altri governatori, compresi i due di Fratelli d’Italia, è stato convocato al Colle per la consultazione di rito col Capo dello Stato prima dell’ottava e ultima votazione. Non si è sottratto per spirito istituzionale, e perché in fondo Mattarella gli va più che bene. Ma il leggero brusio di fondo, condiviso con Acquaroli (presidente delle Marche) e Marsilio (Abruzzo) era più che tangibile. Stava fuori. Cioè nel sostegno “immateriale” alle parole di Giorgia Meloni, l’unica ad essere andata controcorrente. A non aver votato Mattarella, ad aver ripudiato il gattopardismo parlamentare, che non ha consentito di eleggere un presidente “nuovo”, secondo i dettami della Costituzione.

Musumeci s’è trovato nell’imbarazzo di dover esprimere a Mattarella le felicitazioni più sincere, ma, allo stesso tempo, di dover cavalcare il Meloni-pensiero, già in rotta col resto della coalizione di centrodestra, senza darlo troppo a vedere. “Una classe dirigente seria – ha scritto il governatore sui social – decide la riconferma del presidente della Repubblica già alla prima votazione e non alla ottava, quasi fosse un rimedio. Una pagina non bella della politica italiana. Soprattutto da chi nelle difficili giornate che hanno preceduto quella odierna ha saputo dire solo no, pensando di più ad evitare il voto anticipato che al bene comune. Dalla Sicilia buon lavoro al concittadino Sergio Mattarella, che ha rappresentato in questi anni tutti gli italiani e guardato alle Regioni con attenzione e sostegno”. Un messaggio a metà. Carezze per tutti.

Anche se la situazione di Musumeci nei prossimi giorni potrebbe complicarsi. E la sua scalata all’Everest, cioè il palazzo della Regione, subire un brusco rallentamento. Perché c’è “un centrodestra da rifondare” – lo hanno ammesso sia Salvini che la Meloni – e la Sicilia è la prima regione che potrebbe risentire delle refluenze negative di questi giorni. In cui la coalizione di governo che nell’Isola sostiene Musumeci, è finita in frantumi. “Esiste ancora il centrodestra?”, si è chiesto Ignazio La Russa, l’unico vero tessitore dell’accordo tra Fratelli d’Italia e Diventerà Bellissima. Il mezzo accordo siglato qualche giorno fa con gli “uscieri” di Giorgia, potrebbe rivelarsi un accordicchio insignificante se la Meloni e Salvini non troveranno nuove motivazioni per stare insieme. Contendersi un presidente della Regione, di per sé divisivo e poco conciliante, non sarebbe un buon inizio. Il borsino del Quirinale potrebbe giocare a favore di Giorgia nei sondaggi, certo. Ma da qui a imporre la candidatura di Musumeci per sottrarre a Salvini anche la Sicilia, oltre che il primato, ce ne passa.

Sempre che la Meloni sia affascinata da questa prospettiva. Il fatto di non essersi fatta trovare agli appuntamenti, di aver mandato i suoi ambasciatori (fra cui il capogruppo alla Camera, Francesco Lollobrigida), di aver abbozzato un’intesa lasciando fuori la questione più rilevante (lista unica sì, o lista unica no?), testimonia che la partita è tutta da giocare. Anche se da parte di Fdi, con una nota scongelata dopo giorni, “ha ribadito l’assoluto apprezzamento dell’operato del governatore Nello Musumeci” e “considera naturale la sua ricandidatura alla presidenza della Regione”. “Tra Fratelli d’Italia e Diventerà Bellissima – prosegue il documento – si è stabilito sin d’ora un rapporto di costante consultazione per affrontare insieme gli obiettivi prioritari politico-programmatici legati allo sviluppo della Sicilia e del Mezzogiorno d’Italia. Il vertice ha, altresì, auspicato la unità della coalizione siciliana attorno al presidente uscente per affrontare in un clima di serenità la prossima sfida elettorale che non può non vedere riconfermata in Sicilia la fiducia al buon governo di questi anni”.

Resta sullo sfondo il ruolo di Forza Italia. Confuso. Mentre Micciché osteggia il Musumeci-bis – alla domanda di Aldo Cazzullo sui rapporti col governatore ha risposto: “E’ come parlare con un muro, lei riuscirebbe a fare pace con un muro?” – qualcuno si muove in senso contrario. A Maurizio Gasparri, ad esempio, la riconferma dell’uscente non dispiacerebbe affatto. Difficile capire quale possa essere il punto di caduta. E ancora più difficile stabilire il ‘quando’.

Al ritorno in Sicilia bisognerà fare in fretta. I primi nodi da sciogliere riguardano le Amministrative di Palermo. E’ lì che il nuovo centrodestra dovrà dare prova d’unità. O, al contrario, potrebbe deflagrare: non è un mistero che tutti i partiti della (ex) coalizione abbiano un candidato, ma che quelli di Lega (Francesco Scoma), Fratelli d’Italia (Carolina Varchi) e Diventerà Bellissima (Alessandro Aricò) siano al centro dell’attenzione. Ricalibrare i pesi nel territorio, mentre a Roma si litiga, è un’impresa titanica.

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