Pochi giorni prima di Ferragosto, con i siciliani (parlamentari e non) già al mare, dai palazzi semideserti della Regione è sbucata l’ultima novità legata ai conti: sono stati rivenuti altri 400 milioni di passivo nei bilanci di Palazzo d’Orleans. Si tratta di un disallineamento certificato dal lavoro postumo della Ragioneria, che ha “corretto” in corsa il Rendiconto approvato nell’ultimo giugno: faceva già segnare 6,9 miliardi complessivi di disavanzo, che adesso sono diventati 7,3 (rispetto ai 6,2 del 2017). Al netto delle somme ripianate l’anno scorso e dell’ultimo aggiornamento, lo squilibrio complessivo è di 1,3 miliardi (anche questo va ripianato). Stiamo colando a picco. Ma anche alle notizie peggiori il nostro prode Armao è riuscito a trovare una nota lieta: “Abbiamo fatto un’operazione di pulizia dei conti regionali che non era mai stata fatta prima. Ci siamo fatti carico di trent’anni di gestione. Un’operazione di trasparenza assoluta decisa con la Corte dei Conti” che nei prossimi mesi, in sede di parifica, dovrebbe benedire il Bilancio “rettificato”.
“Oggi il Bilancio della Regione è pulito e allineato al decreto legislativo 118 – ha esultato l’assessore all’Economia – Con la riconciliazione si è arrivati a far emergere un ulteriore disallineamento da ripianare, ma questa dovrebbe essere l’ultima volta che accade”. Occhio a spiegare bene: la parte più importante del discorso è il “disallineamento da ripianare”. Ripianare in che modo? Ne conosciamo solo uno: stoppare l’erogazione di servizi a favore dei siciliani. Come avvenuto già in parte con l’ultima Finanziaria dove, a causa di un altro maxi disavanzo nei confronti dello Stato (2,1 miliardi, di cui solo una parte spalmabile in trent’anni), alcune cifre sono state prima congelate, poi in parte sottratte ai capitoli di spesa a cui erano inizialmente destinate: il trasporto pubblico, per citarne uno, ha avuto 41 milioni di euro anziché 48. E gli è andata pure bene.
Che i conti siciliani siano un disastro assoluto non ci vuole un economista per capirlo. Musumeci lo ripete continuamente, e imputa le colpe alle precedenti gestioni. In questa eterna sessione di Bilancio, di cui fra l’altro si tornerà a discutere al rientro in aula il prossimo 10 settembre (con un maxi collegato), s’è capita una cosa sola: che la Regione, finanziariamente, non gode di buona salute. Che non ci sono abbastanza soldi per i servizi, per i lavoratori, per i teatri, per le associazioni anti-racket, per le categorie svantaggiate (su tutti ciechi e talassemici). Comunque la tiri, la coperta resta corta. Ma qualche pasticcio, probabilmente, si sarebbe potuto evitare.
Il primo disavanzo, quello dei 2 miliardi, è tuttora in stand-by per una parte. I 543 milioni di euro che lo Stato non ha inserito nel programma di dilazione trentennale, nonostante il pressing della Regione, verranno spalmati in dieci anni (anziché in quattro, come voleva il ministro Giovanni Tria). Questo consentirebbe alle casse di respirare, evitando tagli bruschi a partire dalla prossima Legge di Stabilità. L’interruzione dell’esperienza di governo Lega-Cinque Stelle, però, comporterà ritardi, perché, come ha spiegato il vice-governatore Gaetano Armao, l’accordo c’è ma è congelato e dovrà ripassare in Consiglio dei Ministri. Resta, insomma, un margine di dubbio che soltanto il prossimo esecutivo potrà chiarire.
Le poche risorse disponibili della Regione siciliana si trovano in Finanziaria, perché i “collegati” – è stato approvato solo quello generale, composto di 32 articoli – sono quasi a costo zero. Anche l’assalto alla diligenza, quest’anno, si è rivelato più incasinato del previsto. Tanto che sul “collegatino” presentato dalla commissione Cultura, dal valore di quasi 7 milioni di euro, quello delle mance ai deputati per intenderci, si è deciso di stendere un velo pietoso all’alba di agosto. Troppe voci includenti, troppe pretese sterili. Tutto rinviato a settembre, in un articolato più ampio.
Ma in prospettiva futura, anche il disavanzo da 1,3 miliardi (comprensivo del disallineamento da 400 milioni) rischia di diventare una spada di Damocle. Per la solita Ragioneria generale, dovrà essere ripianato in tre anni: 223 milioni nel 2019, 578 nel 2020 e 560 del 2021. Soldi che vanno accantonati, che non si possono spendere per altri scopi. Serviranno specifiche riduzioni di spesa. Lacrime amare. Anche se la spiaggia e l’ombrellone sembrano aver attenuato gli effetti di una comunicazione così devastante, di una “polpetta avvelenata”, come l’hanno definita tre deputati del Movimento 5 Stelle (Luigi Sunseri, Sergio Tancredi e Stefano Zito) in una nota.
“Il disavanzo – spiega il deputato Sergio Tancredi, componente della commissione Bilancio – deriva da crediti che la Regione vantava e che invece si sono rivelati fittizi. Quindi passiamo da un Bilancio in apparenza positivo, che permetteva di assegnare partite di spesa poi “scoperte”, a un Bilancio negativo”. Ma il punto di questa operazione-verità, di pulizia dei conti che riguarda trenta esercizi finanziari (dagli anni ’90 in poi) è un altro: cioè la tempistica. “E’ normale che in questa mole di uffici e dirigenti ben pagati – fa notare Tancredi – dopo quattro anni non si riesce ad avere certezza dei numeri? Secondo il decreto legislativo 118, la pulizia dei conti sarebbe dovuta terminare entro il 2015. Invece, al 9 agosto 2019, ci ritroviamo un aggravio di 400 milioni. La cosa non dovrebbe passare sotto silenzio. Se fossi io l’assessore al Bilancio, andrei a verificare ufficio per ufficio, quali dirigenti o funzionari non hanno fatto bene il proprio lavoro: non dico di licenziarli, ma almeno eviterei di premiarli, perché col loro operato mettono in difficoltà tutta la Regione”. Il riferimento, nemmeno così velato, è ai bonus produzione assegnati negli ultimi giorni ai dirigenti, che in alcuni casi si tradurranno in indennità suppletive di 6 mila euro in busta paga.
Sul fronte opposto, invece, ecco cosa succederà: “Sembra niente, ma il peggioramento dei conti della Regione corrisponde a servizi che non potremo erogare – sottolinea il portavoce grillino –. Parlando di un disavanzo fittizio (si tratta di voci in entrate e in uscita, relative agli ultimi trent’anni, che di fatto non esistono) non ha valore contabile, e quindi non c’è un responsabile che pagherà. Lo faremo noi, per tre, dieci o trent’anni, in termini di servizi”. Tancredi diventa concreto: “Per compensare una partita di bilancio ereditata delle passate cattive amministrazioni o dalle disattenzioni da parte dei dipartimenti, che va a pesare realmente adesso e in prospettiva futura, non si potranno utilizzare i soldi per i servizi”. Fine della storia.
Armao assicura che questa operazione-verità, necessaria e trasparente, concordata a tavolino con la Corte dei Conti, impedirà che in futuro si ripresentino situazioni simili. Il termine disavanzo dovrebbe uscire, man mano, dal dizionario di Palazzo d’Orleans: “Voglio sperare che abbia fatto le verifiche necessarie e parli in base a quelle. E non al suo ottimismo – spiega Tancredi – Ma non ne sarei assolutamente certo. Io sono alla seconda legislatura, ma ogni anno è una sorpresa. Ed è sempre più avvilente – spiega il parlamentare del M5S –. Per una persona che si è avvicinata alla politica per dare un piccolo contributo, è triste rendersi conto che negli ultimi trent’anni, a livello amministrativo e politico, c’è stato il disastro. A me dispiace pure per tutte le sollecitazioni fatte ad Armao e cadute nel vuoto. Se il governo le avesse prese maggiormente in considerazione, forse si sarebbe risparmiato un po’ di grattacapi. Ma le collaborazioni nascono se c’è la buona volontà di tutti e la capacità di ascolto dovrebbe essere reciproca”. E invece no. Al dialogo si preferisce un comunicato asettico e in piena estate. Quando persino un “rosso” da 400 milioni di euro viene spacciato per un successo.