Gianluca Inzerillo fa fatto qualcosa che molti altri dovrebbero emulare – chiedere spiegazioni – ma il tentativo del capogruppo di Forza Italia al Comune di Palermo, gli è già costato caro. Da un lato l’irritazione di Fratelli d’Italia che, dalla svolta governativa di Meloni, ritiene incontestabili i (suoi) metodi; dall’altro la fustigazione di Forza Italia, che per bocca di Marcello Caruso, ombra e confidente di Schifani, ha demonizzato l’intervento del consigliere del suo partito: “Non posso non prendere le distanze dall’uso di un tale strumento”. Quella utilizzata dal “coraggioso” Inzirillo non era la pistola carica del deputato Emanuele Pozzolo, patriota, alla vigilia di Capodanno; bensì una normale richiesta di accesso agli atti per capire come fossero stati spesi i quasi 500 mila euro per il concerto di Elodie a Piazza Ruggero Settimo.

Eh no, caro Inzerillo. Questo è oltraggio, lesa maestà. Risiedere nella stessa maggioranza, secondo i patrioti e certi sudditi, vuol dire ingoiare il rospo. Sempre. Non porre domande. Non pretendere chiarezza e trasparenza. Un messaggio fuorviante e, se vogliamo, pericoloso. Esercitare il ruolo di vigilanza e controllo, nella pubblica amministrazione, non è soltanto prerogativa delle opposizioni, ma di ogni consigliere comunale o deputato regionale, poco cambia. Invece sembra quasi che il povero Inzerillo abbia compiuto un delitto, qualcosa di indicibile, che ha subito provocato “un caso politico con Forza Italia” (parola del collega consigliere Antonio Rini, di FdI, che ha preso subito le parti dell’assessore agli Spettacoli, Giampiero Cannella).

Ma la cosa peggiore è che a dubitare dell’iniziativa del forzista, siano stati gli stessi forzisti che da qualche mese hanno accolto in squadra Caterina Chinnici, paladina dell’antimafia. Gli stessi che a Palazzo d’Orleans, in un passato sempre più remoto, avevano provato a ripristinare la legalità di alcuni atti. Il presidente Schifani, ad esempio, aveva rimediato alla prima, clamorosa caduta dal pero della sua legislatura, revocando in autotutela il provvedimento con cui l’assessorato al Turismo aveva stanziato – senza bando – poco meno di 4 milioni a una società lussemburghese, la Absolute Blue di Patrick Nassogne, per la realizzazione di una mostra fotografica a Cannes; e aveva persino minacciato di licenziare l’assessore Scarpinato per aver sorvolato con troppa nonchalance sulla pubblicazione del decreto dirigenziale. Persino il Tar ha dato ragione a Schifani, ritenendo legittimo il passo indietro, anche se i rapporti coi patrioti ne hanno risentito in maniera quasi definitiva. Fino alla pace e al bacio della pantofola di Brucoli, all’evento di Manlio Messina, quando si è deciso di metterci una pietra sopra.

Schifani è arrivato a scontrarsi, e poi a cedere, di fronte all’arroganza di Fratelli d’Italia, che dalla svolta governista – dicevamo – non accetta alcuna intromissione, neanche da parte del governatore, nella sua sfera di competenza (in primis sul Turismo). Guai. I meloniani ritengono che il potere sia di per sé un regime. E peccato che questo atteggiamento, al netto della legalità o meno degli atti prodotti da quell’assessorato o da altri, vada a scontrarsi con un principio che vale in tutte le democrazie: ossia la garanzia di trasparenza e di etica pubblica. La cosiddetta ‘questione morale’, se volessimo utilizzare una locuzione ormai abusata.

Fare come ha fatto il consigliere Inzerillo sarebbe una prerogativa di chi rappresenta il popolo. Di chi fa politica e riveste incarichi istituzionali. Di chi ha promesso di spendersi per gli interessi della comunità, e non per quelli dei singoli individui (specie se politici) in virtù dei voti ricevuti, siano essi tanti o pochi. E invece no. Inzerillo è stato crocifisso sull’altare sbagliato, per una semplice richiesta che nessuno potrà negargli. Nemmeno quelli di Fratelli d’Italia e neppure il ventriloquo Caruso: “Il nostro partito – ha detto il commissario regionale di Forza Italia, per spegnere l’incendio – è impegnato senza alcuna esitazione a sostegno e nella collaborazione con tutta la coalizione di centrodestra che guida la città”. Questo però non significa coprirsi gli occhi o turarsi il naso.

Ci sarebbero tanti altri cassetti da aprire, e tantissima polvere da rimuovere. Anche Palazzo d’Orleans dovrebbe essere un palazzo di vetro e non lo è. Una moltitudine di questioni rimane sul piatto: dal caso della parcella d’oro agli avvocati Russo e Stallone, che difesero la Regione nella causa contro le lobby dei termovalorizzatori; alla gestione dei fondi di SeeSicily (caso sollevato da un altro “coraggioso”: il grillino Luigi Sunseri); passando per l’utilità di alcuni incarichi, remunerati fior di quattrini, a consulenti-scienziati che Schifani ha allocato nelle stanze di potere, quelle vicine alla sua, per ottenerne i consigli più disparati sui fondi extraregionali o su energia e trasporti; senza dimenticare la nomina del Sovrintendente della Sinfonica, che prima di accettare l’incarico avrebbe dovuto documentare l’insussistenza di cause di incompatibilità, e che invece compatibile non era (occupando un altro paio di poltrone).

Il buonsenso, su questi temi e su tanti altri, imporrebbe un approfondimento, una domanda, un dibattito. Guai. I cassetti del potere sono impenetrabili e forzarli porta alle conclusioni che abbiamo visto in questi giorni a Palermo. Una presa di distanza plateale, siderale, a tratti insopportabile, che si fonda sull’incontestabilità del potere che, attualmente, unisce i due partiti di maggioranza relativa. Fratelli d’Italia e Forza Italia, sotto questo aspetto, giocano con la stessa maglia. Comandano. Non hanno a cuore critiche e ingerenze. Semmai agitano rancori. Preferiscono proteggersi le spalle a vicenda, perché se così non fosse verrebbe meno il presupposto dello stare insieme. Che è appunto il potere. Pro-tempore, ma pur sempre potere. Da un lato logora chi non ce l’ha; dall’altro acceca chi lo possiede, specie se in dosi cospicue. Le domande e gli Inzerillo, infatti, sono sempre meno.