Oltre che un problema legato ai numeri – drammatico, dato che il disavanzo ammonta a oltre 2 miliardi di euro, e uno va recuperato entro il 31 dicembre con una manovra d’assestamento – è anche una questione di fiducia. Al termine della lunga interlocuzione estiva fra la Corte dei Conti e la Regione, in cui i giudici hanno chiesto ripetutamente di apportare modifiche e integrazioni al rendiconto 2018 da parificare (che infatti è stato scritto due volte, la seconda l’8 agosto), gli uffici hanno avviato una lenta e farraginosa verifica su tutti i capitoli di bilancio. Da questa operazione-verità (è così che l’hanno chiamata Musumeci & Co.), sono emersi un disallineamento da 400 milioni di euro, e 22 mila tra rettifiche o correzioni. Ma anche numerose negligenze.

Nella requisitoria del procuratore generale della Corte, in sede di pre-parifica, Maria Rachele Amenta sostiene che “a più riprese questa sezione ha tentato di ottenere riscontro da parte dell’amministrazione sulla quantificazione dei fondi regionali, non ottenendo alcuna risposta”. Inadempienze che si sommano a inadempienze, che hanno convinto la procura a chiedere l’irregolarità di alcuni capitoli del bilancio regionale, come il Fondo contenzioso, il Fondo residui perenti (cioè quelli “scaduti”, che non vengono pagati entro un certo tempo a partire dall’esercizio cui si riferiscono), il Fondo crediti dubbia esigibilità e il Fondo perdite partecipate.

Uno degli elementi su cui ha battuto maggiormente la Corte dei Conti, poi, è la questione patrimoniale. Nei mesi scorsi – i più attenti lo ricorderanno – l’assessore Gaetano Armao tentò di inserire all’interno del “collegato generale” alla Finanziaria, all’articolo 11, la ricognizione straordinaria del patrimonio dell’ente (da affidare al Genio Civile e al Dipartimento tecnico), ma la proposta fu respinta seccamente dal Movimento 5 Stelle, che prima avrebbe voluto accedere ai dati del censimento “fantasma” da 110 milioni, da anni giacenti nei server di Sicilia Patrimonio Immobiliare. Così l’ipotesi di una nuova mappatura fu stralciata e finì in soffitta. Quei dati, risalenti al 2009, e a lungo prigionieri di una password “misteriosa”, furono scardinati a metà luglio. Ma risultarono inservibili. Troppo vecchi. Praticamente inutilizzabili. Così anche stavolta la Regione non ha fatto sapere nulla, e forse sa poco essa stessa, della reale situazione patrimoniale dell’ente.

Tra le altre pecche emerse in sede di parifica, c’è quella legata ai contenziosi. Anche in questo caso l’assenza di una banca dati non ha permesso di comprendere l’ammontare del fondo rischi per le cause che la Regione ha in corso. La Ragioneria, inoltre, non ha saputo fornire indicazioni più precise nemmeno sul valore dei contenziosi con la Corte Costituzionale e con la Corte di Giustizia Europea. Ma anche il capitolo pignoramenti sta a zero. La Corte dei Conti non è a conoscenza dei provvedimenti esecutivi che hanno comportato pignoramenti, tanto meno l’Amministrazione ha spiegato “per quale motivo non si è proceduto al tempestivo pagamento nelle forme ordinarie e, comunque, prima della procedura esecutiva”. In questo caso si denota un certo lassismo da parte degli uffici, che comporta un evidente aggravio di spesa (ma a quanto ammonta?) per le casse regionali.

Un altro punto critico, come determinato dalle richieste della Procura in sede di pre-parifica, si riferisce alla gestione delle società partecipate. Al “quanto” la Regione avesse stanziato per ricapitalizzare le perdite o al “perché” non si sia proceduto a svalutare la partecipazione alle società con un patrimonio netto inferiore al capitale sociale, la Regione non ha fornito risposte “atte a superare i rilievi”. Commentando la gestione del fondo perdite delle partecipate, i giudici contabili rilevano inoltre che la Regione possegga i dati di appena quattro “carrozzoni” su tredici e che la crisi di Riscossione Sicilia sia dovuta in buona parte alla mancata compensazione delle somme spettanti.

Da questo quadro impietoso, l’ennesimo, viene fuori la verità che Musumeci e Armao non raccontano. Ossia che anche questo governo, e questa Amministrazione, hanno evidenti responsabilità nell’iter che qualche giorno fa ha portato la magistratura contabile a bocciare i conti della Regione. Come si evince da un passaggio della relazione finale: “Il quadro che restituisce l’analisi è di un risultato di amministrazione di dubbia attendibilità che presenta ancora notevoli profili di opacità, non esclusivamente legati all’inadeguata applicazione dei nuovi principi contabili”.

ARMAO IS BACK: ATTACCO A CROCETTA

Una lettera risalente allo scorso 4 novembre, come riportato dai colleghi di Live Sicilia, per denunciare ai giudici della Corte dei Conti l’operato di Rosario Crocetta e del suo governo. Così Gaetano Armao ha provato a smarcarsi dalle proprie responsabilità, scaricando tutto sulle spalle dei predecessori. E’ colpa di Crocetta & Co., secondo l’assessore all’Economia, se la Regione dovrà spalmare il disavanzo da due miliardi da qui a fine legislatura e non in dieci anni. E’ con Crocetta, scrive Armao nella missiva, che si creano “le precondizioni per il default della Regione siciliana nel 2018-19, esito che si è riusciti sinora a scongiurare grazie alle intese tempestivamente raggiunte con codesto ministero”.

Armao fa accenno a un dialogo occulto fra il governo Crocetta e il Ministero delle Finanze, i cui tecnici spiegano a Palermo che l’operazione di diminuzione del disavanzo (del 2015) con la reimputazione dei residui attivi non poteva essere fatta. In questo modo, dei 5 miliardi di disavanzo accertati, ne sarebbero venuti fuori soltanto tre (spalmabili in trent’anni), mentre i restanti la Regione si sarebbe impegnata a spalmarli in tre anni con una apposita legge: “Come confermato dalla Ragioneria generale della Regione – scrive però l’assessore -, a seguito del loro rinvenimento, non risulta agli atti che sia stata dato seguito alcuno all’impegno assunto”.