Totò Cuffaro ha scoperto il chiavistello per aprire (o forzare?) il portone d’ingresso di Forza Italia, trovare casa in vista delle Europee e garantirsi, in caso di affermazione elettorale di Massimo Dell’Utri e sconfitta della Chinnici, una discreta posizione di rendita. Perché dietro l’accordo con Noi Moderati, utile a “programmare e promuovere iniziative politiche unitarie a livello istituzionale, nella società e negli enti locali” (il primo appuntamento comune è in programma domenica ad Agrigento), c’è l’astuzia e la profonda esperienza del segretario della Democrazia Cristiana, ex governatore scafato della Regione siciliana, che, dopo la fastidiosissima gogna, è pronto a dimostrare quanto valgono effettivamente i suoi voti. La scelta di farlo all’interno di Forza Italia, nella lista più competitiva che ci sia, è un segnale delle ambizioni di Cuffaro e delle sue potenzialità: non saranno i 120 mila voti delle ultime Regionali, ma potrebbero bastare a far fare a Dell’Utri – segretario regionale di Noi Moderati – il salto di qualità.

Cuffaro e la DC sono le variabili di questa competizione elettorale. Che, da un lato potrebbero mettere in imbarazzo Tajani (che ha fatto il possibile per farlo fuori); e dall’altro rilanciare le ambizioni dell’amico Schifani, che dopo aver proposto l’alleanza con il leader democristiano, e aver incassato il rifiuto del segretario nazionale, non ha fatto nulla per far valere le sue ragioni (anche sotto il profilo costituzionale). Alla fine Cuffaro correrà per la stessa squadra, ma è proprio dalle dimensioni del voto che si capirà qualcosa in più sul futuro assetto della Regione. E non soltanto di Forza Italia. Anche se all’interno dei berluscones emerge la presenza di una cortina di ferro e di due blocchi contrapposti: da un lato, quello formato da Tajani, Falcone e Chinnici (con il prezioso apporto di Gianfranco Micciché, che giovedì dal Foro Italico di Palermo, ha sponsorizzato la corsa dei due candidati non palermitani, e di Lombardo); dall’altro, quello che si regge su Schifani, Cuffaro e Tamajo, a difesa delle posizioni acquisite.

Cuffaro gioca una partita che ne comprende un altro paio: la prima per abbattere – politicamente parlando – il totem di Caterina Chinnici, che sul partito dell’ex governatore aveva posto un veto ben preciso. Motivato dalla questione morale, con cui in passato aveva tagliato fuori Peppino Lupo dalle liste del Pd; ma giustificato dal reale pericolo che un esponente della DC avrebbe rappresentato per la terza elezione in Europa. Cuffaro farà di tutto per estrometterla dai palazzi di Bruxelles e potrebbe anche riuscirci, considerando il fatto che i sondaggi, nelle circoscrizioni Isole, attribuiscono a FI un solo seggio. Chinnici è capolista, ma conta fino a un certo punto; vince chi riesce a portare i voti e, a differenza dell’ex candidata governatrice del Pd – che conta esclusivamente sulla propria storia di magistrato integerrimo e paladino dell’antimafia – Cuffaro è abituato alla campagna elettorale sul campo, per guadagnarsi ogni singola preferenza. Dell’Utri non è un nome che scalda i cuori, ma farà il possibile per renderlo attrattivo. Stima di portare in dote 50 mila voti.

Il vero testa a testa per una poltrona in Europa, infatti, rischia di essere quella fra Chinnici e Dell’Utri, considerato che i due favoriti della vigilia, Tamajo e Falcone, difficilmente rinuncerebbero al posto in giunta per andare a svernare in Europa. La dimensione del testa a testa ha pure una retrospettiva: quella che misura i rapporti di forza fra Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo. Amici mai. Lombardo, dopo la rottura con Lega, ha deciso di sostenere l’eurodeputata uscente, che ha già fatto parte del suo governo dal 2010 al 2012, e con la quale – anche grazie al marito, l’ing. Manlio Averna – i rapporti sono sempre rimasti ottimi. In pratica il Mpa sarà il vero (e unico?) catalizzatore di voti per Santa Caterina dei Misteri, che non ha ancora saputo giustificare il suo passaggio dalla Schlein ai berlusconiani. Peraltro Lombardo ha già avanzato la pretesa di un secondo assessore, dopo le Europee, se agli Autonomisti dovesse scattare il quinto deputato all’Ars (si vocifera di Alessandro De Leo, in uscita da Sud chiama Nord); ma potrebbe pretendere, in ogni caso, un trattamento di favore se il risultato della Chinnici e di Forza Italia fossero lusinghieri.

Cuffaro non assisterà inerme alla marcia del rivale (che resta “rivale” nonostante i rapporti più distesi). Se riuscisse a far eleggere Dell’Utri, difficilmente Totò potrebbe avanzare la richiesta di un altro posto in giunta (ne ha già un paio a fronte di 6 parlamentari), ma ha tutte le carte in regola per chiedere e ottenere deleghe più pesanti – è attualmente libera quella all’Agricoltura – o qualche posizione di sottogoverno importante (sono da riempire le caselle dei direttori sanitari e amministrativi delle Asp). Acquisterebbe punti agli occhi di Schifani, che sarebbe lieto di concedergli una vetrina per tirarsi fuori dall’assalto romano. Col peso dei suoi voti, potrebbe garantirgli un elisir di lunga vita, almeno fino alle prossime scadenze elettorali (il 2027).

Infine, tralasciando la dimensione più materiale della vicenda, Cuffaro potrebbe prendersi una bella rivincita su tutti coloro che a Taormina, lo scorso novembre, lo ostacolarono, schifiando (almeno pubblicamente) i suoi voti. Una federazione, fra Dc e Forza Italia, che sembrava nella logica delle cose e che invece, un po’ per paura e un po’ per pudore (Rita Dalla Chiesa, in un’intervista a Repubblica, parlò di “voti inquinati”), è rimasta un’incompiuta. La miglior risposta ai detrattori sarebbe l’affetto del popolo siciliano. Che a Totò non ha mai lesinato vasuna. Nemmeno nei momenti peggiori della sua carriera, fatta di molte luci e altrettante ombre.