Il crollo di un mito è una cosa seria. Giovanni Agnelli, l’Avvocato, era appunto un mito italiano nel mondo. Marella Caracciolo, sua moglie, un altro mito, un Cigno in bianco e nero, il più bel collo della terra alle prese con giardini d’incanto degni del Tasso e di Armida. Non è solo questione di orologi sopra il polsino, basettoni da armatore greco (copyright Alberto Ronchey), gite pericolose in Costa Azzurra, incidenti stradali da epoca del Boom, l’Accademia di Pinerolo, la guerra, l’America, il flirt con Pamela Digby Churchill Harriman, la fama di battutista cinico e snob, la faccia bella da indio, le ascendenze americane, Malaparte, i nomignoli rinascimentali ai calciatori (Pinturicchio), la immensa favolosa ricchezza e il gusto del mercante d’arte, la vela e l’elicottero (“un mezzo di trasporto fantastico, molto impiccione”), l’editoria giornalistica nell’epoca d’oro, i direttori, la sveglia alle cinque e mezzo del mattino, il moralismo bonario, la cocaina bene assunta, la vendita e il riacquisto delle biografie sgradite, le strette di mano confindustriali con la Cgil sulla scala mobile, l’educazione vallettiana, la dinastia, la vetturetta, gli operai, la Fiat nello stato italiano con lo spionaggio e tutto, Altafini e la Juve bonipertiana, per non parlare del potere vero da Kissinger a Felix Rohatyn, segretari di stato e banchieri-ambasciatori, immagini viventi della leadership e del denaro, amici e sodali di Park Avenue e di Torino collinare e di Villar Perosa, e ancora un lungo elenco troppo lungo da recitare qui. Continua su ilfoglio.it