I piccoli aeroporti siciliani, così, rischiano di colare a picco. Non basta, e non basterà, il progetto di continuità territoriale finanziato per due terzi dalla Regione (per 50 milioni di euro complessivi), tanto meno il co-marketing dei comuni del comprensorio, che ha prodotto un bando per l’incremento turistico andato più volte deserto prima dell’assegnazione più recente. La quale ci racconta di quattro compagnie, tutte piccolissime per la verità (ad eccezione di Air Malta), interessate ad aprire qualche nuova rotta a Birgi e appena una, la Blue Air, che ormai da mesi avrebbe dovuto avviare un collegamento bisettimanale da Comiso a Torino, che all’orizzonte ancora non si vede. Non basteranno questi piccoli colpi di coda a preservare il futuro degli aeroporti minori.
La Sicilia è terra di contraddizioni stridenti. Al boom degli scali più grandi – con Palermo e Catania che puntualmente conquistano destinazioni e passeggeri – fa da contraltare la crisi dei più piccoli. Trapani e Comiso sarebbero piazze strategiche per lo sviluppo dei due lembi di Sicilia che occupano. Ma, soprattutto il primo, vive una crisi irreversibile che qualche giorno fa ha fatto dire al presidente di Airgest, la società di gestione del “Vincenzo Florio”, per il 99% in quota Regione, che a giugno metterà tutto in liquidazione: “Senza un piano industriale dei soci, e senza chiarezza sul futuro, devo farlo subito prima di incorrere in passività” ha spiegato Paolo Angius. Che a stretto giro di posta, però, ha subito la cazziata di Nello Musumeci, presidente della Regione: “Nessuno lo ha autorizzato a parlare di liquidazione della società. L’aeroporto di Birgi vive perché ha lo vuole la Regione che ha tirato fuori decine di milioni. Lasciatemi lavorare e smettetela di fare polemiche”. L’ira del governatore è valsa la nomina del suo capo di gabinetto, Carmela Madonia, come membro del cda.
Musumeci, che qualche tempo fa denunciò il caro-prezzi dei biglietti, anche sulla questione aeroporti rischia di scapicollarsi senza costrutto. A nulla è valso, fin qui, mettersi a fianco un consigliere come Vito Riggio, ex presidente nazionale di Enac, per uscire dalle difficoltà. Per Trapani, nella fattispecie, Musumeci si augura una gestione integrata con Palermo, anche se il sindaco Orlando, a cui fa riferimento Gesap, la società che gestisce il “Falcone-Borsellino”, fin qui ha fatto orecchie da mercante: “C’è la possibilità di poter creare una grande società Palermo-Birgi – aveva detto il governatore – Questa è la mia idea e del governo regionale. Se riusciamo a risolvere questo problema siamo quasi a cavallo. Anche se i turisti non arrivano soltanto perché c’è l’aeroporto, altrimenti ce ne vorrebbe uno in ogni città”.
Musumeci, che continua a battere la strada della privatizzazione – e lo scalo di Catania sembra il primo a potersi attivare in tal senso – conosce bene le difficoltà di Trapani. Il suo assessore alle Attività Produttive, Mimmo Turano, fino al 2012 è stato presidente della provincia e fu testimone del boom dell’aeroporto Florio, che nel 2013, grazie all’impegno della compagnia irlandese Ryanair, riuscì a totalizzare quasi 2 milioni di passeggeri in un anno. La metà di Punta Raisi. Per una ricaduta sul territorio di svariate centinaia di milioni di euro. Ma lo scenario da Bucoliche si è interrotto drasticamente negli ultimi anni: con la cancellazione della provincia di Trapani e da quando gli enti locali, il Comune in primis, sollevarono dubbi sui fondi a Ryanair. Che il 31 maggio 2017, alla scadenza naturale del contratto, è migrata a Palermo, portando con sé un traffico passeggeri esemplare. Lasciando Birgi col cerino in mano.
L’altro ieri, in un venerdì qualunque di fine aprile, a Birgi sono atterrati appena cinque voli: due della compagnia danese Dat, che collega Trapani a Pantelleria, uno di Ryanair, con la città tedesca di Karlsruhe, e un paio di Alitalia, che conducono a Roma e Milano. Il deserto rispetto a qualche anno fa, quando Birgi metteva in collegamento la Sicilia con numerose destinazioni italiane ed europee. Alcuni comuni della provincia, con Marsala capofila, hanno costruito un bando di co-marketing, che prevede l’acquisto di spazi pubblicitari in cambio di un incremento delle rotte. Ma i 14 milioni di euro messi a disposizione di potenziali compagnie che desiderassero puntare su Trapani, è andato più o meno deserto. Hanno partecipato soltanto in quattro. La più nota è Air Malta, poi ci sono Tele 2000 srl di Urbino, Topjets World Wide di Brescia, Tayaranjet, una compagnia aerea bulgara. Davvero troppo poco per sperare in un progetto di rilancio. Che non potrà avvenire con le sei rotte italiche della continuità territoriale, gli spostamenti a prezzi “calmierati” che nei prossimi quattro anni, a partire dal 2020, porteranno anche a Comiso tre destinazioni fisse: un bi-giornaliero per Roma e uno per Milano.
A Trapani uno dei pochi spiragli rimasti si chiama Catania. Dato che Palermo, che si trova in un raggio di 70 km rispetto a Birgi, non ne vuole sapere di unificare le due società di gestione – Airgest e Gesap – la Regione chiederà a Fontanarossa di farlo. Le interlocuzioni fra Musumeci, Turano e Nico Torrisi, amministratore delegato della Sac, sono già avanzate. La società che gestisce il “Bellini”, che appare l’unica proiettata nel futuro e interessata a una crescita reale, e non solo potenziale, del sistema aeroportuale siciliano (senza campanilismi), è da poco subentrata nella gestione di Comiso, il cui destino, fino a poche settimane fa, sembrava segnato.
So.a.co, la società a partecipazione pubblica (il Comune di Comiso detiene il 35% delle quote) e privata, ha vissuto sulla propria pelle il processo di liquidazione di Intersac, il socio di maggioranza. Ora che al posto di Intersac è entrata Sac, davvero Comiso potrebbe diventare punto di riferimento per la mobilità nella Sicilia Orientale. Fin qui, senza una reale integrazione con Fontanarossa, era stata declassata a una pista d’atterraggio per le emergenze. E’ a Comiso che gli aerei atterrano quando la cenere dell’Etna avvolge i cieli intorno al vulcano. Un mesetto fa, quando dei lavori sulla pista di Catania avevano veicolato gran parte del traffico sul “Pio la Torre”, lo scalo casmeneo reagì prontamente: riuscendo a far atterrare decine di voli al giorno rispetto ai 4-5 opera mediamente.
Da queste parti Ryanair aveva preso a investire con un certo entusiasmo, portando in dote collegamenti con Londra, Dublino, Francoforte, Dusseldorf, ma anche Pisa e Malpensa. Poi ha cominciato coi “tagli”, riducendo alcuni collegamenti vitali come quelli con la Capitale. Proprio di recente, però, dalla liquidazione di Intersac, che aveva fatto temere per la tenuta economica dello scalo nei prossimi mesi, si è passati alla fusione con Catania, che promette di far diventare Comiso un naturale prolungamento dell’aeroporto etneo. “O cogliamo questa opportunità o siamo condannati alla marginalità” sentenziò Giampiero Agen, presidente della Camera di Commercio del Sud-Est siciliano e socio al 62% della Sac.
Una prima dose adrenalinica potrebbe arrivare a fine maggio, quando si apriranno le buste relative al bando d’incremento turistico (per 7 milioni di euro complessivi), che al primo giro aveva fatto registrare soltanto l’interesse di Blue Air per Torino, e di una compagnia tedesca – Eurowings – che poi s’è tirata indietro. Sarà un primo collaudo di ciò che potrebbe diventare il futuro. L’esempio di un connubio che funziona, da cui anche Trapani e Palermo, con un pizzico di buona volontà, potrebbero prendere spunto.