A darle i natali è stata la città di Gela, 48 anni fa. Ma Gela è anche la città dove Giusi Bartolozzi ha rivelato la sua indole di “dissidente”, e ha consumato lo strappo, appoggiando alle ultime Amministrative il candidato leghista Giuseppe Spata. Il Carroccio è il partito venuto dal nord che la quasi totalità di Forza Italia in Sicilia non fa mistero di non amare. Gianfranco Miccichè, che si è battuto a più riprese con Salvini, a volte in modo anche feroce, non ci vede un briciolo d’umanità. Per questo, con l’eccezione di Bagheria – dove si è perso – gli azzurri sono andati da soli, costruito piccoli nazareni (come nel caso di Gela), sfidato la sorte. Bartolozzi no.
La deputata di Forza Italia, incoronata a marzo 2018 da Silvio Berlusconi con la candidatura da capolista nel plurinominale di Agrigento (il seggio scattò facile e a gratis), ha scelto di percorrere la via più tortuosa assieme al compagno di vita e di partito Gaetano Armao: mettersi a capo di una lista – Avanti Gela – e condurre la Lega fino al ballottaggio. Non che i voti di Spata fossero quelli della Bartolozzi, ma come rivelato da più parti in Forza Italia questo “voltafaccia familiare” ha influito sull’esito del primo turno, non del secondo. Da cui è uscito vincitore Lucio Greco, figlio del patto tra la Forza Italia vera e una lista civica riconducibile al Pd. Eppure è stata la parlamentare gelese a contestare “l’inciucio in salsa sicula” di quello che, al netto di una memoria a breve termine, sarebbe il suo partito.
Non è stata una campagna anonima per la Bartolozzi, da subito in prima linea. Nel vero senso della parola. Partecipando, assieme al solito Armao, a una convention leghista, ha provocato l’insurrezione di Forza Italia, in primis del coordinatore nisseno Michele Mancuso. Ma a questi scherzetti, o disallineamenti, non è insolita l’ex magistrato. Alle Europee, contravvenendo alla base regionale del partito che ha spinto per la candidatura di Giuseppe Milazzo, lei e il compagno, pluripremiato ad Arcore con la vicepresidenza della Regione, hanno scelto di votare per il sardo Salvatore Cicu, che è nell’orbita di Antonio Tajani, il presidente del Parlamento europeo che aveva fatto di tutto per mandare a Bruxelles il catanese Giovanni La Via, anch’egli dissidente della seconda ora, anziché il capogruppo all’Assemblea regionale. Storie di ordinaria follia, ma è pur sempre Forza Italia.
Che l’amor proprio vinca sull’amore di partito è storia nota. Bartolozzi incontra per la prima volta Berlusconi ad agosto 2017, quando con Armao si reca ad Arcore. E’ in quella occasione che il Cav avrebbe voluto puntare sull’avvocato amministrativista per piazzarlo a capo di una regione che vedeva il centrodestra assente da anni. Poi spuntò Musumeci e si dovette ripiegare sulla vicepresidenza. Ma si sa bene che Armao da un lato e Bartolozzi dall’altro non hanno mai sperimentato il loro peso elettorale: né l’uno, che ha rinunciato a candidarsi (ma Musumeci, a sorpresa, ha tenuto fuori dal listino), né l’altra, capolista in un collegio ma non sottoposta al rito delle preferenze. Non hanno mai preso un voto. Ma la loro storia politica al fianco del Cav, seppur giovane, si è condita di un retroscena quanto mai accattivante. Che risale alla loro vita precedente, lontana dai riflettori (in parte) ma non dal potere.
Un anno fa di questi tempi, infatti, anche alcune testate nazionali, oltre che Buttanissima, si occuparono del pignoramento dello stipendio dell’assessore Armao, che risultava debitore nei confronti del Fisco per una cifra superiore a 380mila euro. Nulla di strano se non fosse che il pignoramento è stato ordinato dalla sua compagna, che prima di entrare in politica era un giudice della sezione fallimentare del Tribunale di Palermo. Lo Stato vanta dei crediti con Armao, la Bartolozzi gli “congela” lo stipendio da quasi 7 mila euro al mese. Qualcosa ci sfugge. Ma non sfugge all’ex moglie del vicegovernatore, Carmela Transirico, che presenta un esposto al Csm per segnalare che il piano ordito dalla coppia punta a blindare i beni di lui e impedirgli – a divorzio avvenuto – di versare l’assegno di mantenimento alla figlia. Un bel cul de sac, tuttora in attesa di chiarimenti. Una fotografia poco moralizzante, e poco chiara, della coppia di governo.
Anche se Bartolozzi, che si è laureata alla Luiss di Roma e nel ’96 ha ottenuto l’abilitazione di avvocato, in Parlamento sta all’opposizione dei gialloverdi e se ne lagna. Tra i vari provvedimenti, molti di natura giudiziaria, portati all’esame della commissione competente e dell’aula, ce n’è uno recentissimo che riguarda la modifica dell’assegno di divorzio. Il dialogo e il confronto con gli altri componenti della commissione giustizia, però, sono stati “pari allo zero” e l’ex magistrato si è sfogato sui social: “Dal governo grillino l’ennesima mancanza di visione politica in ambito giustizia. Il Pd, pur di appuntare una medaglietta al petto, si lascia stravolgere silente, il testo”.
Bartolozzi e Armao, per non cambiare musica, hanno adottato una exit strategy tutta loro anche nella fanatica trattativa fra lo Stato e la Regione sul mantenimento in vita delle ex province. Anziché sostenere la mozione del resto di Forza Italia, che aveva presentato un disegno di legge in commissione Bilancio per ottenere i fondi che alle altre ex province italiane erano stati regolarmente garantiti, hanno scelto di imboccare la via più breve, accontentandosi di una trattativa al ribasso che ha portato a un contentino da 100 milioni stornato alle infrastrutture. Episodi. Ma sono gli episodi, anche futili (e questi non lo sono) che rivelano la natura delle persone e dei politici. O di uomini e donne prestati alla politica.