Giuseppina Torregrossa a Cefalù per festeggiare nella terrazza del Museo Mandralisca, insieme con l’Associazione culturale Mariposa e un pubblico assai numeroso e appassionato, i primi dieci anni dalla pubblicazione di “Manna e miele, ferro e fuoco”. Che è uno dei suoi romanzi di maggior successo, ambientato proprio nelle Madonie, le montagne che scendono ad abbracciare Cefalù, città di pietra e di mare, territorio madonita sul Tirreno.
“Per narrare quella storia e questi luoghi ho trascorso giornate dense di appuntamenti, di lavoro ed emozioni proprio qui a Cefalù”, ha esordito Giuseppina Torregrossa durante l’incontro, condotto con la levità della “tertulia”, della conversazione versatile della tradizione spagnola, da Maria Pia Farinella, giornalista e amica della scrittrice.
Come un segno del destino è stata la stessa casa editrice Mondadori a ricordare a Torregrossa che erano già passati dieci anni dalla pubblicazione di “Manna e miele”, con una richiesta di rinnovo sui diritti d’autore arrivata proprio mentre lei viaggiava diretta a Cefalù. Un segno del destino nei riguardi di luoghi e temi che si intrecciano con le sue radici, le sue viscere. Il suo “cunto” libero della terra natia, così affine e così aspra. La terra del “odi et amo”, del “nec tecum nec sine vivere possum”, eterno tormento degli scrittori siciliani e non solo di loro.
Una Sicilia di manna. Che già la parola rimanda al divino e ad una esperienza sensoriale della scrittura. Ma anche terra di ferro e di fuoco. Una Sicilia feroce, abitata da pazzi e sognatori. Un luogo che ti cattura e, talvolta, ti imprigiona. Con trappole e fate.
Le fate della carica affabulatoria di Giuseppina Torregrossa, medico ginecologo prima ancora di decidere di dedicarsi alla narrazione. Lei stessa si definisce: “Una cuntastorie”.
Sono fate consapevoli dei propri destini e dei propri saperi e fate morgane, miraggi da realismo magico, come nella Macondo di Garcia Marquez. C’è Agatina nipote che apprende i segreti del vivere al femminile dalla nonna Agata nel “Conto delle minne”, best seller tradotto in dieci lingue, Romilda di “Manna e miele”, “L’assaggiatrice” del romanzo d’esordio e tutte le altre.
Fino ad arrivare alle due vittime donne dell’ultimo libro pubblicato a giugno da Marsilio col titolo: “Chiedi al portiere”. Un giallo ambientato a Roma, l’altro luogo di vita vissuta da Torregrossa. Un noir in cui l’ispettore Mario Fagioli, chiamato “Gladiatore” dai suoi colleghi, torna nella famigerata via dei Minimi, quartieri altoborghesi della capitale, per una nuova indagine dopo quella sulla “Morte accidentale di un amministratore di condominio” della fine del 2021.
“Come l’essere è altro rispetto all’apparire – afferma Maria Pia Farinella nel presentare il romanzo – le due vittime sono all’opposto tra loro”. Una è morta e non può più parlare. Un’anziana signora forse assassinata, che in vita è stata prototipo di virtù ormai desuete: cultura, cortesia, altruismo, umana solidarietà. E una è viva, vegeta e ciarliera. Ed è giornalista. Dell’ultima generazione. Per cui dell’aggressione subita riesce a fare strumento di autopromozione. Anzi, per far durare la storia più a lungo non le interessa affatto che si trovi il colpevole. E’ lei, col suo seguito di telespettatori adoranti e di assistenti lolite che sembrano interpretare i “manga” giapponesi, a incarnare la società dello spettacolo, il nostro quotidiano “Truman Show” in cui la narrazione si sostituisce alla realtà.
Quanto basta per capire che lo sfondo del romanzo di Giuseppina Torregrossa conta più della storia in sé. E svela lo spirito del tempo. E si capisce che già il fatto stesso di scrivere diventa un atto di ottimismo contro il pessimismo a cui induce la ragione.
Così come è da considerare un atto di ottimismo la sfilza di domande arrivate dal pubblico. Casi minimi che messi assieme costruiscono una conversazione sulla Sicilia.