Non vi farò il riassunto delle puntate precedenti perché le conoscete già.
In questo “Italia’s got talent” della magistratura deviata, infatti, avete già visto tanti nani e ballerine.
Nel sequel scintillante del “Palamara Superstar” nulla manca per una grande sceneggiatura della risata tragica.
Duecentomila copie in una settimana: il sogno di ogni editore.
C’è il protagonista principale che, attroiato in solo uno dei suoi tanti telefoni, viene colpito ed affondato come nella battaglia navale.
C’è il suo finto confessore delle colpe, il quale – stranezza della Storia – ha un nome che ricorda il narratore del periodo più buio e delittuoso della Roma antica.
Ci sono uomini e donne, di rilievo pubblico, contaminati dall’attroiamento che tutto infetta come se fosse una specie mutante del coronavirus.
E c’è un anfiteatro Flavio, pieno per ogni ordine di posti da un pubblico pagante, che solo aspetta il momento del fatale “crucifige!”.
Insomma, sperare di avere Verità in questo contesto è come chiederla ai leoni che si battevano dentro il Colosseo.
L’unica possibile Verità di questa sceneggiatura è nell’antica regola gladiatoria: “Mors tua vita mea”.
Per questo motivo il plot truculento – che una sapiente regia ha creato – mi interessa solo per i suoi effetti sociologici.
Ciò che accadeva (e che accadrà) dentro il circo massimo della lotta di potere può ragionevolmente desumersi dai suoi stessi presupposti.
Il pollice recto e quello verso dell’uomo posto dal “Sistema” ad arbitro della sanguinaria contesa determinerà i vincenti.
D’altronde i perdenti saranno ben distinguibili perché pronamente abbandonati nella polvere.
Ho pietà per tutti loro, carnefici e vittime, uniti in qualcosa che in inglese viene chiamata “greed”: avidità, cupidigia di potere.
Non posso, però, permettere che il rumore delle spade, il ruggito delle fiere e l’elevarsi nebuloso della polvere ci distragga da quello che accade fuori dall’anfiteatro.
Occorre riportare l’attenzione di tutta la Nazione al tema centrale del nostro vivere sociale.
Buttare fuori la politica dal tempio della Giustizia sarà pure immediatamente necessario, ma ben altro occorre realizzare – con urgenza – prima che sia troppo tardi.
Risorse economiche di proporzionato valore. Snellimento delle Leggi. Adeguamento degli organici. Svecchiamento delle strutture. Potenziamento dei riti processuali.
Sono solo alcuni degli strumenti per sottrarre la Giustizia italiana al suo declino e, con esso, al fallimento del Paese.
L’unico modo per risistemare il “sistema”.