L’ultima fuoriuscita dal gruppo di Forza Italia, leggasi Totò Lentini, ha provocato un bel frastuono all’assemblea regionale. E il sempre mite capogruppo azzurro, Tommaso Calderone, stavolta non se l’è tenuta: “Al di là della sua brevissima apparizione da comparsa, ricorderemo l’onorevole Lentini più per le sue richieste che per le sue proposte”. Alla fine il vulcano eruttò. E poco importa che Lentini, subentrato in corsa a Giuseppe Milazzo, dopo lo sbarco di quest’ultimo a Bruxelles, avesse usato il politichese per smarcarsi da un gruppo ritenuto scomodo: “La mancanza di stimoli e di obiettivi di Forza Italia mi ha fatto riflettere su quale binario perseguire il mio percorso politico, da sempre centrato sui valori della famiglia tradizionale e sulla cristianità, valori fondanti della nostra identità nazionale”, ha detto il deputato, notificando la propria adesione al partito della Meloni.
Un moderato e centrista convinto – lo confermò anche alla vigilia delle Regionali 2017, quando strinse un patto con Forza Italia e Miccichè – che finisce alle dipendenze della leader della destra italiana. Ma oggi il “colore politico” non esiste più. Lo ha detto lui. Lentini, prima di essere forzista, era stato con gli autonomisti di Raffaele Lombardo e con l’Udc. E alle ultime Amministrative di Palermo ha appoggiato il sindaco Leoluca Orlando con una propria lista civica. Una continua giravolta. Ma non è il solo, Lentini. Fratelli d’Italia, in Sicilia, è diventato il partito cui tutti aspirano. Meno spigoloso della Lega di Salvini, che fra l’altro in Assemblea non è neppure rappresentata. Fratelli d’Italia sì: la penultima adesione è stata quella di Rossana Cannata, che diceva di non condividere più il modus operandi del gruppo dirigente di Forza Italia. Così, dopo aver fatto le prove generali alle Europee – quando il fratello Luca, sindaco di Avola, era in lista con la Meloni – a luglio si è accasata sotto lo stemma “ritoccato” della Fiamma. Assieme al sindaco di Catania Salvo Pogliese, che s’è portato dietro un bel drappello.
Fratelli d’Italia ha cinque deputati all’Ars (ma un solo assessore: Manlio Messina), che potrebbero pesare in caso di rimpasto. Gli stessi dei Popolari e Autonomisti, che hanno dovuto rinunciare in corso d’opera a Pippo Gennuso: rientrato in Assemblea dopo un patteggiamento a 1 anno e 2 mesi per traffico d’influenze, il deputato siracusano ha scelto di seguire le orme di Daniela Ternullo, che nel frattempo lo aveva sostituito, aderendo al progetto di “Ora Sicilia”. Trattasi della stampella di Diventerà Bellissima, che voleva rappresentare un asse con la Lega di Salvini. Voleva. Perché gli interpreti di questo spostamento a destra non sono piaciuti al “capitano”, men che meno al senatore Stefano Candiani, il commissario tutto d’un pezzo: ne fanno parte Luisa Lantieri, amica di Totò Cuffaro, e reduce da un’esperienza poco prolifica nel Pd; Tony Rizzotto, l’unico a ottenere il pass in quota Carroccio alle ultime elezioni; e, udite udite, Luigi Genovese, il rampollo della famiglia, figlio di Francantonio. Anch’egli reduce da un’esperienza in Forza Italia. “Pur essendo un ragazzo di un garbo unico, non si è mai trovato bene da noi” ha sentenziato Micciché al momento di una separazione affatto dolorosa.
Anche quelli di “Ora Sicilia” hanno fatto un balzo a destra, pur provenienti da esperienze diverse. Al fianco di Diventerà Bellissima, il cui organico è rimasto immutato da inizio legislatura. Forza Italia, invece, ha visto così ridurre il proprio plotone considerevolmente: dai 14 deputati iniziali, è passata ai 10 attuali. La prima a fare le valigie e transitare al gruppo Misto era stata Marianna Caronia, un filino più appiattita sulle posizioni autonomiste. Mentre prima delle elezioni il salto della quaglia (verso l’Udc) l’aveva fatto Vincenzo Figuccia, in rotta con il commissario Gianfranco Micciché. Si pensava che Figuccia, da un momento all’altro, potesse dichiararsi di destra, o addirittura leghista, ma fin qui non ha mai sconfessato la sua scelta, standosene su posizioni di centro (coi necessari distinguo e le dovute critiche).
La Lega, che nel parlamento siciliano non è rappresentata (“Tra noi e Musumeci c’è un abisso” ha dichiarato Candiani qualche settimana fa) avrebbe potuto raccogliere una massa di adesioni. Ma fin qui ha eretto un muro nei confronti dei transfughi – i colonnelli del Carroccio, seppur informalmente, hanno rifiutato l’appoggio della famiglia Genovese ad Angelo Attaguile per le ultime Europee – preferendo costruire pezzo dopo pezzo, mattone dopo mattone, la propria classe dirigente nell’Isola. Il pezzo pregiato è Nino Minardo, deputato nazionale visto a lungo con la casacca di Forza Italia, che in passato aveva persino accompagnato Angelino Alfano nel Nuovo Centrodestra. Ma nell’orbita del Carroccio, e fuori da palazzo dei Normanni, si muovono altri nomi di un certo peso: a Palermo hanno aderito i consiglieri Gelarda, Ficarra e, negli ultimi giorni, Alessandro Anello, uno dei grandi elettori – come lo definisce Repubblica – dell’ex presidente dell’Ars, Francesco Cascio. E ha trovato spazio, fra i responsabili, anche Matteo Francilia, sindaco di Furci Siculo (nel Messinese), già visto con Scelta Civica di Mario Monti e Alternativa Popolare del duo Alfano-Lorenzin. Nell’orbita leghista si aggira anche un altro parlamentare nazionale di Forza Italia, Nino Germanà.
Non c’è nessuno, invece, che abbia scelto di transitare dal centrodestra a Italia Viva di Renzi, costretto a pescare tra gli scontenti del Pd (Sammartino e Cafeo) e dai reduci di Sicilia Futura, oltre a sindaci e amministratori votati al “civismo”. In quella metà campo è una partita complicata. A destra, invece, è tutta ri calata. Lo dicono i sondaggi.