Individuare il candidato del centrodestra, a Palermo, è un’impresa ardua che dipende da troppe variabili. Una di esse è il “peso doppio” della scelta, cioè la necessità di determinare – simultaneamente – il sindaco della quinta città d’Italia e il partito che si arroga il diritto di prelazione sul prossimo candidato alla presidenza della Regione. Dovrebbe essere la Lega, ma non è detto. Per spiegare il motivo occorre ripartire dal vertice andato in scena mercoledì a Roma, ospiti di Matteo Salvini. La necessità di spostare l’incontro nella Capitale è dipesa, per lo più, dallo scontro interno a Forza Italia e dalla richiesta, da parte della nutrita schiera dei “falchi”, capitanata dall’ingombrante Marcello Dell’Utri, di coinvolgere nella partita la senatrice Licia Ronzulli. L’obiettivo? Tenere a bada le pretese di Micciché, il cui risentimento (politico) nei confronti di Musumeci e del suo cerchio magico è ormai risaputo.
Amministrative e Regionali devono viaggiare insieme. Su questo elemento sono tutti d’accordo: dal salviniano Nino Minardo, che sarebbe il primo della lista nel caso in cui il Carroccio rivendicasse palazzo d’Orleans; passando per Ignazio La Russa, dioscuro della Meloni e guida spiritica di Fratelli d’Italia nel lungo parto siciliano. Tutti, o quasi. L’unico a chiedere di differire le questioni era stato, nei giorni scorsi, proprio Gianfranco Miccichè, consapevole che le beghe interne al suo partito non avrebbero consentito una disamina serena sulla Regione. E’ notorio, infatti, che alcuni assessori (come Armao e Falcone) propendono per la conferma di Musumeci, che Micciché considera “perdente”. E che lo stesso Dell’Utri, che ha trasferito il proprio quartier generale all’Hotel delle Palme di Palermo, spinge per il bis dell’uscente. Riemergere da questa diarchia in pochi giorni – ne mancano poco più di sessanta alle elezioni di Palermo – è un’impresa complicata. Anche se nelle prossime ore Micciché potrebbe accelerare con Berlusconi, rivendicando la sua leadership nell’Isola.
In attesa che si compia la beata speranza, però, resta tutto congelato. Con cinque candidati alla poltrona di sindaco e un paio di scenari. Il primo prevede il coinvolgimento formale, e magari anche sostanziale, di Fratelli d’Italia. Lo ha detto Saverio Romano al termine dell’incontro di ieri. “Lavoriamo per candidature che siano espressione di tutti i partiti che compongono la coalizione, incluso Fratelli d’Italia”. Ma potrebbe rivelarsi un fuoco di paglia se il partito della Meloni non deciderà di fare un passo indietro e trattare senza preclusioni. E qui arriviamo dritti alla seconda questione: tutti i leader di partito si sono presi 72 ore di tempo per convincere al ‘passo indietro’ i propri candidati. Potrebbero riuscirci Forza Italia con Cascio e la Lega con Scoma. Mentre gli Autonomisti si sono ritrovati con una bella gatta da pelare: Totò Lentini ha innescato la quarta, inaugurando il proprio comitato elettorale, e non ha alcuna voglia di recedere. Dicasi lo stesso di Roberto Lagalla, l’homo civicus con l’Udc al seguito. Sulla candidatura dell’ex rettore è stato impossibile smontare i veti di Saverio Romano, degli Autonomisti e persino di Totò Cuffaro (assente a Roma, ma informato su tutto). L’ex assessore regionale all’Istruzione, fresco di dimissioni dall’esecutivo, potrebbe però ritrovarsi da solo se anche l’Udc – come suggeriscono alcuni addetti ai lavori – decidesse di salvaguardare l’unità del centrodestra a scapito del singolo.
Il colloquio avvenuto martedì a Roma fra Lagalla, l’assessore Turano e il segretario Cesa, che ne ha consegnato le conclusioni direttamente a Salvini, non sarebbe servito a stanare il leader della Lega. Che sulla questione è apparso ancora più netto nella riunione con gli altri: occorre un passo indietro di tutti, altrimenti la sconfitta è certa. Un invito che verrà rivolto dagli emissari dei partiti anche a Fratelli d’Italia, con l’obiettivo di far rientrare la candidatura di Carolina Varchi e allestire, in fretta e furia, un nuovo giro di consultazioni. Se così fosse, suggerisce un big del centrodestra, “non è escluso che il candidato sindaco di Palermo fosse un nome diverso” dal lotto dei cinque. Anche se il tempo scorre e le soluzioni latitano. Detto delle quotazioni in calo di Lagalla e del borsino stabile di Cascio, a beneficiare dell’attuale quadro in divenire potrebbe essere Francesco Scoma. Se la Lega non otterrà un impegno da parte delle altre forze politiche a trattare da subito sulla presidenza della Regione, chiederà apertamente il sindaco di Palermo, e “a quel punto nessuno potrebbe dirci di no”.
Su Scoma, però, si innescherebbe un ‘giro della morte’ che riporterebbe in piedi l’ipotesi – clamorosa per certi versi – di blindare la candidatura di Nello Musumeci. FdI, il cui obiettivo è la conferma del presidente uscente, potrebbe convergere sull’ex renziano e ipotecare un “baratto”. Un’ipotesi che quasi nessuno nel centrodestra pare gradire, ma che diventa più forte col passare delle ore, soprattutto di fronte alla prospettiva di far deflagrare tutto. Ai partiti che Musumeci non lo vorrebbero vedere nemmeno in cartolina, è chiaro che si tratterebbe di un altro quinquennio complesso sotto il profilo dei rapporti politici e personali. Di poche riunioni e tante chiacchiere. Ma un’alternativa reale, se l’obiettivo è non perdere pezzi per strada, non esiste. E Micciché, l’unico a poter decretare la fine anticipata di questo “incubo”, per il momento ha le mani legate.
Al netto di questi discorsi, resta sempre da considerare un fattore di “disturbo”: la presenza di Cateno De Luca. Un paio di giorni fa l’ex sindaco, su assist di Nino Germanà, ha incontrato Matteo Salvini a Roma per metterlo al corrente della “questione Messina”, invitandolo a sostenere la candidatura di Federico Basile, piuttosto che praticare il grande inciucio su Maurizio Croce: il soggetto attuatore per il rischio idrogeologico della Regione, già assessore con Crocetta, gode della benevolenza dei partiti del centrodestra (compresa Sicilia Futura) ma anche della famiglia Genovese. E al secondo turno, uno tra lui e De Domenico (il candidato del Pd) potrebbero stipulare un patto di mutuo soccorso per sbarazzarsi di lui. Salvini se n’è rimasto zitto ad ascoltare perché, da leader nazionale, non ha alcuna intenzione di “sfasciare il pupo”. Anche se l’unica condizione per convergere sulla proposta Basile è il ritiro dell’ “esercito di liberazione” e l’impegno di Scateno a non spaccare il centrodestra per le Regionali. Una proposta che – conoscendo De Luca – avrebbe finito per irritarlo. Senza alcuna assicurazione sulla vita, però, i leghisti rimarranno alla larga dalle beghe di Messina. E, al massimo, finiranno per convergere sulle scelte del resto della coalizione.
La partita più delicata, però, si gioca su altri livelli. Sulla capacità di isolare Musumeci una volta per tutte o, al contrario, di doverselo sorbire per un altro quinquennio. Presentarsi alle Politiche della prossima primavera con un centrodestra spaccato è l’unica ipotesi che nessuno tiene veramente in considerazione. Anche Stancanelli, che non è un fan del colonello Nello, si è detto certo che “alle prossime Regionali il centrodestra sarà unito”. Incastrare le tessere del mosaico, però, si sta rivelando più difficile del previsto.