Sono giorni in cui chiunque abbia a cuore questo mestiere non può che dolersi per le lettere di licenziamento che rischiano di azzerare il futuro di Telegiornale di Sicilia e dei suoi giornalisti. Li ho conosciuti quasi tutti, quei ragazzi, e so di che pasta è fatta la loro professionalità. Hanno navigato in un mare sempre più difficile e melmoso. Vantano il merito di avere tirato la carretta in un tempo in cui l’informazione è diventata terra di conquista per avventurieri, leccaculisti e analfabeti di ritorno. Paccottiglia, insomma. Per rendersene conto basta leggere certe miserabili interviste in cui la domanda più pungente al reuccio politico di turno suona così: “Qual è la cosa di cui è più orgoglioso?”. Veline spacciate per interviste e perciò senza mai un accenno agli scandali, alle ruberie, alle prepotenze.
Requiem per un mestiere che è volato via, verrebbe da dire. Per carità ogni generazione ha le sue colpe e non c’è giornale che non abbia bucato una notizia, che non abbia messo inavvertitamente un piede nel fango, che non abbia stretto un compromesso, che non abbia mostrato una sudditanza nei confronti del potere. Ma oggi il circo dell’informazione si è imbastardito oltre misura. E non mi riferisco alle sgrammaticature o alla lotta titanica tra “certi operatori della comunicazione”, ormai si chiamano così, e la sintassi della lingua italiana. Ma al sottobosco del giornalismo; a quel nugolo di truffaldi che si aggirano tra i corridoi e i sottoscala dei palazzi, dove c’è da grattare un incarico o una consulenza, e offrono i loro servigi, la loro lingua, la loro saliva.
Da due o tre giorni – da quando è esplosa la crisi al Telegiornale di Sicilia – si è rifatto vivo l’Ordine dei giornalisti di Sicilia. E ha sfoderato i toni gladiatori che, purtroppo, lasciano sempre il tempo che trovano. Perché non basta un comunicato, gonfio di retorica e frasi fatte, per modificare le leggi della concorrenza e del mercato; o per piegare l’arroganza e la spregiudicatezza di editori venuti da lontano, magari con il legittimo obiettivo di raccogliere pubblicità e chiudere i bilanci in attivo. Si è fatto vivo, dopo mesi e anni di sonno, anche il sindacato dei giornalisti, meglio conosciuto con il nome di Assostampa, che ha mostrato i suoi muscoli di cartone. Ma chi volete che creda ancora a queste liturgie?
Né l’Ordine né il sindacato hanno speso una parola quando ancora si poteva arginare l’invasione degli avventurieri e dei leccaculisti. Quando ancora si poteva evitare che il Telegiornale di Sicilia e le altre isole dell’informazione venissero accerchiate, assediate e soffocate da testate, senza regole e senza scrupoli, molte delle quali – bisogna pur dirlo – sono nate esclusivamente per rapinare i fondi messi a disposizione dalla Regione: ufficialmente per aiutare l’editoria siciliana in affanno; ma di fatto congegnati in modo tale da consentire a Musumeci o al suo vice Armao di foraggiare i loro clienti più genuflessi e più affezionati. Bastava che l’Ordine, con la sua maestà istituzionale, o l’Assostampa, con i suoi traccheggi da basso impero, chiedessero all’Irfis – che ha avuto da Palazzo d’Orleans l’incarico di compilare la graduatoria degli aventi diritto – di essere invitati a un tavolo di consultazione per separare il grano dal loglio; per stabilire chi, tra coloro che chiedono i finanziamenti a fondo perduto, fa veramente informazione e chi invece stampa cataloghi di vino o insegue solo le passerelle della moda; per evitare che un quotidiano fantasma, ma amico degli amici, rastrelli in due anni quasi un milione di euro o che un sito, bene ammanigliato con la Sanità, incassi una carrettata di soldi vantando milioni di lettori in Cecoslovacchia.
Vestirsi da gladiatori e piangere sul destino di Telegiornale di Sicilia, recitando per di più le giaculatorie dell’indignazione e dello sgomento, è un esercizio tanto vecchio quanto ipocrita. Sarebbe stato più utile per Ordine e Assostampa affrontare di petto, quando si era ancora in tempo, avventurieri e leccaculisti: gente che riceve una velina dall’assessore Ruggero Razza, detto l’Imperatore, e la traveste su commissione da intervista. Facendo, con i lettori, il truffaldino gioco delle tre carte.
Mi chiedo con umiltà ma anche con una punta di disagio: perché la Regione deve regalare fior di quattrini a testate che un tempo erano magari gloriose ma che ormai non svolgono altra funzione se non quella di una buca delle lettere? Il primo Razza che passa da quelle parti lascia la sua velina e il direttore la pubblica senza nemmeno guardarla. Tanto, a fine anno il giornale, soi dicent, invia una domandina all’Irfis, presenta l’elenco dei dipendenti veri o di quelli presunti e incassa un regalo di oltre duecentomila euro. Soldi facili. Res nullius. Una paga del sabato che Musumeci e Armao hanno messo in bilancio per circondarsi di cortigiani da mobilitare, senza riserve e senza pudore, durante la campagna elettorale. Non è certo un caso che Palazzo d’Orleans abbia ordinato agli uffici di via Bonanno di tenere in caldo le graduatorie oltre il 25 settembre.
L’anno scorso, quando si è avviata la giostra della cuccagna, l’Assostampa fu doverosamente informata dei rischi che l’allegra leggina, pensata da Musumeci e dal suo vice, avrebbe comportato. Fu detto espressamente, a uno dei capi del sindacato, che i contributi dell’Irfis sarebbero diventati come il miele per le mosche e che già si avanzavano i truffaldi dei giornali farlocchi e dei siti con i lettori fasulli in Cecoslovacchia. Ma non se ne fece nulla. “L’Assostampa non è la Guardia di Finanza”, tagliò corto il sindacalista un po’ pagnottista.
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Nella foto: Roberto Gueli, presidente dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia