Giorgio, Giorgia, Daniela e la dimenticata questione morale

La premier Giorgia Meloni

Nella sua prima conferenza di fine anno, per sottolineare il rigore del Msi, Giorgia Meloni ricordò che Giorgio Almirante chiedeva la “doppia pena di morte” per i terroristi di destra. Seguendo lo stesso principio intransigente rispetto agli errori della propria parte, lo storico leader dell’Msi diceva che “se un politico ruba va messo in galera, se il ladro è uno dei nostri deve avere l’ergastolo”. Ciò che non si capisce bene è come il partito di Giorgia, che fu di Giorgio, possa tenere al governo e tra le sue file Daniela Santanchè dopo quello che è accaduto nell’inchiesta per truffa ai danni dell’Inps per l’uso della cassa Covid.

Certo, la destra italiana negli ultimi trent’anni è cambiata molto – e per fortuna – a partire dalla posizione non più favorevole alla pena di morte. Ha accolto anche, con il ministro Carlo Nordio, una maggiore sensibilità alle garanzie costituzionali. Ma in questo caso il garantismo non c’entra nulla. Non importa la gravità dell’accusa e neppure conta se Santanchè verrà rinviata o meno a giudizio. Se la ministra del Turismo si professa innocente e ritiene le accuse completamente infondate deve restare al suo posto, anche dopo un’eventuale condanna in primo grado e poi in appello. E la premier e il suo partito farebbero bene a sostenerla, anche se la difesa della Santanchè dovesse far perdere consensi.

Il problema è che il caso è già stato risolto con un’ammissione di responsabilità. Secondo l’accusa, le due società di Santanchè, Visibilia Editore e Visibilia Concessionaria, hanno chiesto e ottenuto indebitamente la cassa integrazione in deroga durante il Covid per 13 dipendenti che, al contrario di quanto falsamente dichiarato, non erano in cassa a zero ore ma hanno lavorato in smart working. In teoria solo il processo può dire se le accuse sono fondate o meno, ma in pratica le due società hanno già implicitamente ammesso le contestazioni risarcendo l’Inps: l’Istituto ha trovato un accordo per il risarcimento del danno patrimoniale (126 mila euro), il danno da disservizio (circa 10 mila) e il danno non patrimoniale (circa 30 mila), oltre alle spese legali. In totale, più di 170 mila euro. L’Inps ha pertanto annunciato il ritiro della costituzione di parte civile proprio perché ha ottenuto tutto ciò che chiedeva. Il processo seguirà il suo corso, ma politicamente è tutto chiaro: la società di Santanchè ha percepito illegittimamente tanti soldi che erano destinati alle imprese in crisi e alle famiglie in difficoltà a causa del Covid e del lockdown. E dopo essere stata beccata ha restituito il maltolto. Continua su ilfoglio.it

Luciano Capone per Il Foglio :

Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie