Più che sacro fuoco dell’arte, forse fu preveggenza anche se Giacomo Civiletti nato Gioacchino, Giacomino per gli intimi, a questa cosa non vuol dare molto peso perché del paranormale ha forse un po’ paura. Premesse e fatti, comunque. Nel ’61 ha dieci anni, è già alto quel metro e sessanta sul quale resterà piantato, e s’incanta davanti alla radio che trasmette “Tre briganti e tre somari” con le voci di Modugno, Franchi e Ingrassia. “Un giorno la canterò anch’io”, promette a se stesso. Impegno mantenuto circa un quarto di secolo dopo con la benedizione del Teatro Sistina e del commendator Pietro Garinei. A 12 anni fa la comparsa al Teatro Biondo: è uno degli alunni del professor Toti che sciamano in scena quando suona la campanella della scuola in “Pensaci Giacomino”, allestito dai “Draghi”, regia di Nino Drago. “Anche se ha un brutto carattere, questo qui ci sa fare”. E lui, con “questo qui”, ci lavorerà, diventerà anche socio e “vice” (presidente) al Piccolo Teatro.

“Segnali” d’età ragazzina. La “chiamata” vera arriverà qualche anno più tardi quando Sergio Buonadonna, giornalista de “L’Ora”, lo porta a vedere i Travaglini. Stavolta niente “segnali”, è lui a scegliere, si presenta a Gigi Burruano e gli dice che vuole lavorare con loro anche se nell’imminente deve andare a Mantova per il servizio militare. “Quando torni chiamami”, gli fa Burruano. Ma quando torna, e chiama,Burruano gli allarga le braccia, “siamo al completo”, “ma che parola hai?” e si “sciarrìano” la prima di innumerevoli volte.

Con Burruano restano sodali a fasi alterne, si prendono, si lasciano, come due fidanzati perché se Gigi ha il suo bel temperamentino, Giacomino non scherza in fatto di carattere. Palermitano di corso Olivuzza, “ramo povero” dei Civiletti artisti (ma anche il nonno è uno scultore, pur se meno fortunato e famoso di Benedetto), diplomato geometra, era destinato a fare il perito liquidatore nel mondo delle assicurazioni non fosse stato per quei “segnali” e la successiva testardaggine. Insomma, di riffa o di raffa Burruano è costretto a prenderlo ai Travaglinianche se fa di tutto per rendergli la vita impossibile affidandogli il ruolo più marginale e difficile in “Attore con la ‘o’ chiusa” di Scaldati che è il suo debutto ufficiale e che gli fa dire tuttora “sono uno scaldatiano di ferro”.

I Travaglini sono alle ultime battute, sta nascendo il Piccolo Teatro di Nino Drago da una vecchia palestra di lotta greco-romana e Civiletti asseconda quella “follia”e si mette a scartavetrare 400 poltroncine di legno marrone di seconda mano e a colorarle rosso lacca per sostituire le vecchie panche senza spalliera dei primi mesi. L’utopia di Drago ha un suo fondamento perché in quella prima metà degli anni ’70 un po’ tutti gli attori di Palermo convergono sotto le volte di mattoni e legno del Piccolo in via Calvi, da Burruano a Scaldati, a Civiletti, Li Bassi, Cucinella, Picone, Truden, prima che il Biondo diventi Stabile e onnivoro. E nascono, tra gli altri, al Piccolo un paio di spettacoli che fanno epoca: “La coltellata” con un gruppo di interpreti presi tra i ragazzi della Vucciria e soprattutto “Palermo oh cara”, 300 e passa repliche anche in giro per l’Italia. Ed è in quest’ultimo che Civilettis’inventa lo “Gné-Gné”ispirato ad un personaggio realmente esistito. “Per strada avevo ascoltato uno con una voce strana, nasale, una persona affetta da palatoschisi, durante una prova dissi due battute imitandone il tono e il ritmo. Gigi rimase folgorato: ‘Devi farla tutta così la parte’, ‘ma guarda che stiamo facendo il verso a una malattia…’, ‘non mi importa, falla così’. E fu un trionfo”.

Niente s’è fatto mancare Giacomino: il cabaret sempre con Burruano (e lì oltre allo Gné-Gné salirono in scena il ragioniere Cavalli, il professore Sucato, il cavaliere Sucamelicapocondomino fascista), il teatro serio (con il Biondo, dal “Cagliostro dei buffoni” di Salvo Licata all’“Urfaust” con Albertazzi e la regia di Scaparro, anche se non volle mai diventare attore fisso dello Stabile), la commedia musicale (l’edizione ’87-’88 di “Rinaldo in campo” con Ranieri), la scena d’avanguardia (con il Gruppo 5 e il “Don Chisciotte” di Miguel Quenon con cui ha girato mezza Europa: “Non mi andava giù il fatto che non si potesse uscire a ringraziare alla fine dello spettacolo perché era considerato un rituale borghese: ma io me ne fottevo e in Danimarca e in Svezia, ad esempio, mi presi dieci minuti di battimani”), il cinema (“Il ritorno di Cagliostro” di Ciprì e Maresco, “E’ stato il figlio” di Ciprì).

“Ma è soprattutto con il cabaret che abbiamo campato”, dice al plurale come se parlasse ancora a nome della “ditta” con Burruano. Il cabaret che apre le porte delle tv commerciali e di conseguenza delle serate e della pubblicità. “Gli assessori dei vari paesi si presentavano perfino in spiaggia, mentre eravamo al mare. Gigi gli diceva: ‘Parlate con Civiletti che è l’amministratore’ e quelli, mentre prendevo il sole sulla sdraio: ‘Vi vorremmo per la festa del patrono. Vanno bene 10 milioni?’ Capito?”. Gli spot del caffè, poi: “Moka Termini è stata la mia seconda mamma per dieci anni. Certo, sentirsi ripetere cento volte al giorno per strada ‘U culùri ci ha taliàri’ mi stava portando alla schizofrenia. Ma mi ha fatto vivere bene”.

Vive bene lo stesso, adesso, Civiletti. Vive da pensionato Enpals, a Parma, dove si trasferì anni fa per seguire la figlia universitaria e la moglie che aveva seguito la figlia. Si iscrisse al collocamento dove la prima timbratura sul cartellino fu “immigrato”, ha diretto per tre anni consecutivi un laboratorio teatrale e si stupisce ancora se le auto si fermano dieci metri prima delle strisce pedonali e se deve cambiare parcheggio alla macchina ogni terzo lunedì del mese perché “quelli del Comune passano cu’ scupittùni meccanico”.

Penultimo spettacolo, uno Scaldati con Gino Carista e Melino Imparato, due stagioni fa al Biondo, regia di Franco Maresco, Ultimo spettacolo, invece, allo Stabile di Bolzano, la scorsa stagione, “Wonderland”, regia di Daniele Ciprì che gli ha affiancato, chiamandolo da Palermo, Gino Carista, accompagnati dal pianoforte di Stefano Bollani. Scoperta casuale perché un giorno, ad ora di pranzo, gli telefoni e ti fa: “Scusa, potresti richiamare più tardi? Io e Gino siamo sulla strada di ritorno da Merano e stiamo cercando di convincere uno scoiattolo a rientrare nel bosco ai lati della carreggiata. Forse si è perso, è confuso e rischia di farsi arrotare…”. Surreale, si direbbe alla maniera di Ciprì e Maresco.