Nella cittadina arabo – normanna di Cefalù, bagnata dal mare e abbracciata dalle montagne madonite, prende vita il sogno di due imprenditori siciliani nel campo della ristorazione. Riccardo Provenza e Giancarlo Canali creano “Lievita Cucina terra mare”, un ristorante per raccontare la Sicilia a tavola, con alla guida il giovane chef siciliano, ex sous chef de “I Cucci” di Palermo, Gero Buttaci, dopo la fase di start-up guidata dal piemontese Gianni Lettica. L’incontro tra i prodotti della terra e quelli del mare, dà vita a “Cucina terra mare”. Un contenitore dove confluiscono idee, dopo aver ritrovato l’identità, con la sua caponata o il suo macco di fave, ormai parte della storia culinaria.
Il trentenne Riccardo Provenza fa parte della nuova generazione cefaludese che vuole cambiare il modo di fare cibo, cavalcando il movimento di “rivoluzione culinaria”, che ha investito la Sicilia. Prima la gavetta a Lugano nell’hotel 5 stelle “Villa Principe Leopoldo”, per quattro anni come commis e chef de rang, poi le esperienze al Nord Italia, prima di tornare in Sicilia. “Cucina terra mare” è il suo debutto come ristoratore dopo “Lievita wood fire pizza”. Il palermitano Canale, da venticinque anni nella ristorazione, ha accolto con entusiasmo di essere coinvolto in “Lievita” oltre all’impegno nella gestione del suo locale “Antares”, sul lungomare di Cefalù, e di “Km0”, nella vicina Castelbuono.
L’armonia tra la terra e il mare è quanto sta alla base della cucina di Gero Buttaci, 38 anni, ingegnere ambientale (mancato). “Giocare sui contrasti e le sfumature è quello che voglio portare avanti”. Nel menù di Gero c’è il microcosmo siciliano fatto di pesce e verdure, del “macco di fave” tipico di Butera, dov’è nato, e dei “polipetti murati” alla palermitana, che il giovane chef cercava tutte le volte che si recava a Palermo, nel periodo degli studi. “Facevo qualche extra in un ristorante quando frequentavo l’Università. Mi dilettavo in cucina e non pensavo che un giorno questo potesse diventare il mio lavoro”. Banchetti, stagioni, poi una brigata. Ad un certo punto arrivano I Cucci a Palermo, con la consacrazione di Buttaci accanto allo chef piemontese Gianni Lettica. Gero è il sous chef. Dopo dieci anni per lui la cucina è un mestiere. “Quello che per molti giovani è solo diletto per me è una passione oltre che una professione”. Il tuo sogno? “Aprire un mio ristorante, essere alla guida di un hotel o di una grande brigata ma dopo aver fatto un bel giro in Europa”.
La passione per la logica e il rigore della matematica sono alla base della sua cucina: dinamica, creativa, mai artificiosa o barocca, piuttosto piena di espressione degli ingredienti e della cultura mediterranea che in Sicilia trova il suo sbocco. A rappresentare la Sicilia di Gero ci sono: il “Polpo ai Nebrodi”, con lardo di maialino e mozzarella di bufala affumicata, i “Polipetti murati” alla palermitana, il “Cappellaccio di Ruggero II”, con crema di melanzane, datterino candito e zeste d’arancia, lo “Spaghetto Sabir”, con vongole veraci e asparagi di montagna. Al borgo di origine araba, in provincia di Caltanissetta, Gero rende omaggio con il suo “Macco Rabato”, dal nome del quartiere arabo di Sutera. Si parte dal classico macco di fave siciliano con finocchetto, al quale lo chef ha aggiunto la bottarga di tonno e il gambero rosso di Mazara. Alla cucina della mamma e a quella di Palermo, sua città di adozione, poi di formazione, lo chef traduce il suo tributo con la tagliata di “Tonno Mandralisca”, la “Lampuga. Il Vecchio e il Mare”, scottata in ghisa con brunoise di peperoni e cipolla caramellata, la “Triglia di Montalbano”, con purea di patate, limone e mentuccia, il “Pacchero di Naide e Dafni”, con granchio, finocchietto, datterino, burro e nocciola. Il prezzo medio è di 20 euro a portata.