Ministro della pubblica istruzione e avvocato ombra. L’ombra di Matteo Salvini, che deve la sua “impunità” sul caso Diciotti e la scelta non rendersi processabile – a dispetto di quanto annunciato all’inizio – proprio a lei: si tratta di Giulia Bongiorno. Palermitana, battagliera, a fianco di Andreotti in un lunghissimo processo per mafia. Lei aveva 27 anni quando l’ex premier fu accusato di associazione a delinquere di stampa mafioso. Ne uscì dopo una decina d’anni e anche pulito (dopo il primo una parte dei reati si estinsero per la prescrizione). Ma Giulia Bongiorno, che al funerale dell’ex democristiano versò non poche lacrime, è a quella fase della sua carriera che deve la sua repentina affermazione. Entro nel giro magico di Gianfranco Fini, assistendolo in lungo e in largo fino allo schianto politico decretato dalla nascita di Futuro e Libertà, dopo la fuga del Pdl (“Che fai, mi cacci?”).
Lascia Fini per dare un aiutino a Monti, che la tiene agganciata al mondo della politica, dove entra di prepotenza con la sua ultima avventura: quella col Capitano. Le sono bastati pochi concetti – ad esempio “la difesa è sempre legittima” – per entrare nel cuore del leader leghista, che così ha potuto servirsene per risolvere alcune magagne come quelle di cui sopra (caso Diciotti). Ma c’è la Bongiorno tuttofare dietro la decisione di Armando Siri di rimanere al suo posto, che poi la giustizia avrebbe fatto il suo corso. Garantista all’estremo, sull’etica non è nostro compito indagare. Ma la Giulia, nel frattempo, ha anche cominciato a progettare una pioggia di assunzioni alla Pubblica Amministrazione (è stato appena firmato un decreto per quasi 5mila procedure concorsuali), ma non tollererà più alcuno sgarro a lavoro. Avvocato e giudice inflessibile nelle sue cose. Dalle aule dei tribunali alla politica, e ritorno. Un Nicolò Ghedini della seconda ora. A volte riescono.