La pentola ribolle e c’è dentro di tutto: segretari in pectore, dirigenti doppiogiochisti, transfughi, burattinai in carriera, ospiti poco graditi. Forza Italia è un grande contenitore che, nelle settimane, s’è trasformato in ciò che non voleva diventare: un immenso taxi. “Non siamo né un taxi né un albergo a ore. Chi vuole venire viene e costruisce con noi la nostra dimora, che deve essere la dimora degli italiani”, aveva detto Antonio Tajani da Taormina, lo scorso novembre, rifiutando i voti di Totò Cuffaro. In pochi mesi ne è passata di acqua sotto i ponti: come se non bastasse la Chinnici, da questa campagna sono venuti fuori due competitor imprevisti e imprevedibili: da un lato Raffaele Lombardo, che con il suo Mpa ha garantito un solido appoggio all’europarlamentare uscente (ex Pd); dall’altro proprio Totò Cuffaro, che dopo aver incassato il rifiuto, è rientrato in scena grazie a un escamotage, cioè il sostegno a un uomo che di Forza Italia è soltanto ospite (Massimo Dell’Utri, di Noi Moderati).
Lombardo e Cuffaro sono quelli che potrebbero decidere la volata finale fra Tamajo e Falcone, che oltre a contendersi un seggio a Bruxelles – a cui rinuncerebbero volentieri per non perdere punti in Sicilia – si giocano la vera leadership: quella del partito. E’ in questo clima di incertezza e di profonda rivalità che ci si avvicina all’appuntamento dell’8 e 9 giugno. Nessuno tira fuori una parola sull’Europa, tranne i soliti convenevoli sulle politiche migratorie o sulla farina di grilli. L’interesse preminente è assicurarsi il posto di Marcello Caruso, che resta saldo al timone del partito finché avrà la spalla di Schifani su cui poggiarsi. Non sarà così per sempre, specie se nella sfida fra i big delle preferenze, Tamajo e Falcone, dovesse affermarsi il politico etneo.
Ecco cosa ha detto Tamajo, in questi giorni, davanti ai propri sostenitori: “Qualche altro avversario che fa parte della nostra lista non è come noi. In ogni riunione a cui partecipano – qui il riferimento è agli uomini di Falcone – dicono che vorranno occupare Palermo, prendere la segreteria regionale, indicare il prossimo presidente della Regione. E questo non glielo dobbiamo permettere”. Di contro, la risposta di Falcone (anche in questo caso indiretta) è affidata ai social media: “Si voterà per le Europee, ma pochi parlano d’Europa. L’UE non è una giostra da cui salire o scendere a piacimento. Le elezioni di giugno non sono una palestra dove fare prove muscolari. I giochi di poltrone e di segreteria non sono l’argomento di questa campagna, perché non è alle alchimie politiche che guardano i cittadini e gli elettori azzurri”.
Il problema è che all’interno di Forza Italia fanno tutti orecchie da mercante. E sanno perfettamente, i berluscones, che la partita più avvincente è per la guida del partito. Compreso Tajani, che sostiene la linea Falcone passando, però, dall’imposizione più discussa: quella di Caterina Chinnici. L’ex europarlamentare del Pd è l’indiziata numero uno per ricoprire l’unico seggio disponibile (sondaggi alla mano). La figlia del giudice Rocco, che si è resa interprete del peggior trasformismo, potrebbe beneficiare della rinuncia di Tamajo (certamente) o Falcone (assai probabile) qualora le finiscano davanti. Un posto in giunta, alla Regione, è fin troppo ghiotto per cedere alle lusinghe dell’Europarlamento.
Ma su questa rivalità potrebbe gravare un altro peso: quello rappresentato dai voti di Raffaele Lombardo e Totò Cuffaro. Nessuno dei due, pubblicamente, si esporrà per candidati diversi dalla Chinnici e da Massimo Dell’Utri (su cui la Dc ha deciso di puntare le proprie fiches). Lombardo l’ha spiegato a chiare lettere: “Non interferiamo nelle gare interne di un partito che non è il nostro”. Ma da entrambe le fazioni, emergono ora dopo ora dei distinguo: che vanno tutti in direzione di Tamajo, cioè il prediletto (finora) del presidente Renato Schifani. Il nome dell’attuale assessore alle Attività produttive, indicato in numerose terzine elettorali, finirà per raccogliere preferenze anche nei due schieramenti ‘esterni’. Con una lieve differenza, comunque da rimarcare: che Lombardo ha stretto un accordo direttamente con Tajani, mentre Cuffaro non ha mai nascosto la propria vicinanza a Schifani, nonostante il governatore abbia evitato di difenderlo convintamente dopo il veto di Forza Italia sulla sua ‘annessione’ per salvaguardare la Chinnici.
Il dato di fatto è che gli azzurri sono la lista più forte (anche di Fratelli d’Italia) e certamente la più competitiva. Ma è altrettanto notorio che questa competitività non servirà ad “avvicinare l’UE alle Isole” (come dice Falcone nel suo post). La guerra vera si combatte all’interno del partito, dove Schifani, che avrebbe dovuto assumere le sembianze di presidente super partes, in realtà è schieratissimo. E’ stato proprio lui ad annunciare, qualche mese fa, la corsa di Tamajo; ed è stato sempre lui a dare il benservito a Falcone, sfilandogli la delega alla Programmazione e promuovendo al suo posto il figliol prodigo Armao (nelle qualità di consulente per le questioni extraregionali a 60 mila euro l’anno). Il governatore, sebbene faccia il tifo, sa bene che una vittoria schiacciante da parte di Tamajo o di Falcone finirebbe per indebolirlo – è una questione di tempo. E che il suo Marcello Caruso non è certo l’espressione del nuovo (potere) che avanza, ma di un cerchio magico che tende a sfaldarsi.
Ne è dimostrazione l’ultimo intervento di Tajani, che oltre a sostenere la Chinnici e apprezzare le doti di Falcone, ha lanciato l’amo al sindaco di Palermo, facendo aderire Lagalla al manifesto che sancisce “l’alleanza delle forze civiche moderate per il futuro del Ppe”. E’ successo tutto la settimana scorsa a Roma, nella sede della fondazione De Gasperi, dove il vicepremier, affiancato dal governatore del Piemonte Alberto Cirio, ha voluto espandere la rete forzista a civici e moderati. Con l’obiettivo, rivelato al Corriere della Sera, di costruire “la dimora del popolarismo europeo in Italia”. Lagalla ha minimizzato l’accaduto, spiegando che “ho semplicemente aderito con piacere a un processo che mette insieme, a livello nazionale, movimenti civici e sindaci che si riconoscono nei valori del Partito Popolare. Tutto qui”. Questo è un tema che sarà discusso e approfondito. Magari durante la tregua che seguirà il voto di giugno. Prima saranno scintille.