Quello per noi è un “voto rassicurante”, dice Edy Tamajo andando in giro per comizi. Agitando il rischio che quello per gli altri – leggasi Falcone & Co. – possa rappresentare una deriva del partito verso destra. E’ questo il clima che si respira dentro Forza Italia a meno di una settimana dal voto. Più che un’elezione, somiglia tanto a una conta. Tamajo vs Falcone, Schifani vs Tajani, Moderati vs Esaltati. Quest’ultima, ovviamente, è una caricatura. Ma se per Tamajo l’obiettivo è conservare “una predominanza moderata”, e lo dice accennando alla nuova versione “pluralista” di FI da quando “non c’è più Berlusconi”, Falcone si rifugia dietro la solita storiella dell’Europa e del fatto che non è tempo di strappi o di prove muscolari (sembra lui il moderato).

A Bruxelles ci vuole uno che conosca il territorio, e che magari faccia l’assessore nel governo regionale, vanno ripetendo. Ma la verità è un’altra: che nessuno dei due, attualmente, considera per davvero la prospettiva di fare le valigie e abbandonare la giunta, lasciando che l’altro si prenda la scena alla Regione. Non basta il refrain che Bruxelles non è più un luogo per svernare e che andare in Europa significherebbe avvicinare la Sicilia al continente. Frottole. Il ruolo dell’europarlamentare è quello che è: conta, ma non abbastanza per alimentare potere e prestigio su scala regionale.

E’ una prova ardimentosa anche per Schifani, che lanciando Tamajo – forte di un consenso sempre più strutturato, anche grazie al contributo dei cuffariani – vorrebbe vendicarsi della mancata considerazione di Tajani nei cuoi confronti all’ultimo congresso (l’ha fatto presidente del Consiglio nazionale ma conta meno di nulla). Peccato che molti dei deputati, a parte i neutrali come l’agrigentino Gallo Afflitto, supportino l’assessore all’Economia. Il quale, nonostante l’impegno, da Schifani ha sempre ricevuto pesci in faccia: come lo scippo della delega alla Programmazione e l’assunzione di Armao in qualità di esperto per i fondi extraregionali.

Riepilogando: che il baricentro della deputazione regionale penda dalla parte di Falcone (e di Tajani) testimonia le difficoltà del governatore. Evidenzia un lento sgretolamento delle sue doti da leader, affermate meno di due anni con la vittoria travolgente alle Regionali (i deputati s’affannarono a passare dalla sua parte abbandonando la zattera di Micciché); segnala il rischio di un’implosione dopo l’8 e il 9 giugno, con un effetto a cascata sulla formazione della nuova giunta e non soltanto sull’organigramma del partito. Una cosa è certa: in questa battaglia fratricida l’Europa resta sullo sfondo, appannaggio di un’unica “ospite” che se ne frega di tutti i discorsi e gli equilibri: Caterina, Bruxelles ti aspetta.