L’ultima goccia nel mare sono le deleghe all’accoglienza dei migranti e all’impiego sociale dei detenuti: il sindaco di Palermo Lagalla, anziché assegnarle al neo assessore Mimma Calabrò (scelto in seguito alla richiesta ufficiale di Forza Italia di rimuovere Rosi Pennino, tamajana), ha preferito affidarsi a Fabrizio Ferrandelli. Da qui il coro di protesta dei forzisti: “Forti perplessità”. Ma è solo l’ennesimo capitolo di uno scontento, dentro e fuori dal partito, che cova da mesi. E che ha come effetto collaterale – o almeno dovrebbe – quello di mettere in discussione la guida di Marcello Caruso.
Prima di rimuovere la Pennino (senza alcuna motivazione specifica che non fosse l’appartenenza a una corrente piuttosto che a un’altra), Lagalla ha chiesto ufficialmente una lettera del coordinatore regionale per far scattare il turnover. E’ stato accontentato nonostante l’ormai totale diffidenza di Schifani (“Non l’avrei mai fatto, in politica si vive di rapporti di fiducia”). Ma quello che accade prima e dopo la decisione di Forza Italia – o meglio: dei vertici di Forza Italia – di rimuovere l’assessore ai Servizi sociali, c’è una spaccatura del partito che ormai è impossibile da nascondere.
Tamajo, potente assessore alle Attività produttive che sta pagando a caro prezzo il proprio attivismo, di recente s’è fatto fotografare con Gaspare Vitrano e Michele Mancuso. Gli ultimi parlamentari, fino a prova contraria, che gli sono rimasti a fianco. Ma lo stesso Tamajo, che da qualche tempo non rientra più nelle grazie del governatore (specie dopo aver espresso una visione non richiesta sul futuro “centrista” di FI), gode di un consenso smisurato e Schifani, se vuole competere per una nuova elezione a Palazzo d’Orleans, dovrà tenerne conto. Edy, nei giorni scorsi, era finito al centro di un chiacchiericcio sui franchi tiratori che hanno scelto di affossare gli aumenti di stipendio per i manager delle partecipate, un Ddl fortemente voluto dall’assessore Dagnino: sembrava fosse lui a capitanarli. Ma a difenderlo ci ha pensato Nicola D’Agostino, suo vecchio alleato dai tempi di Sicilia Futura: “Ho votato a favore perché condivido la norma e posso dire che la stessa cosa hanno fatto Tamajo, Vitrano e Lantieri”, ha confidato a Repubblica.
Le voci non si dissolvono così facilmente, ma è chiaro che in quel “voto segreto” risiedono molti dei problemi di Forza Italia. Che si manifestano a tutte le latitudini e che l’assenza di carisma da parte del coordinatore Caruso, unitamente alla mancanza di una direzione politica chiara, non aiuta a ricomporre. Ad esempio, nuovi malumori sono emersi ieri, dopo la notizia di una conferma di Salvatore Iacolino alla guida del dipartimento Pianificazione strategica dell’assessorato della Salute. Qualcuno dei deputati azzurri eletti all’Ars, già in passato, aveva presentato una interrogazione per fare il punto sulla presunta incompatibilità del manager (mai provata). “Iacolino ha fatto campagna contro di noi”, disse inoltre l’onorevole La Rocca Ruvolo all’indomani delle Europee.
E’ difficile riporre certe questioni sotto il tappeto. Specie se si ripresentano. Non si è mai placato, ad esempio, il fastidio di alcuni esponenti del gruppo parlamentare per essere stati surclassati da Schifani nella scelta degli assessori. In pratica, non hanno toccato palla. Il governatore ha nominato Dagnino all’Economia dopo l’addio di Falcone (per l’Europarlamento); e ha individuato la Faraoni – rapidissimamente – dopo le dimissioni indotte di Giovanna Volo. In quest’ultimo caso non c’è stato neppure il tempo di bruciare qualche nome, la decisione era già presa. Calata dall’alto. Zitti e mosca. Entrambi gli episodi avevano fatto agitare la corrente dello stesso Falcone, prima di un pranzo riparatore a Mondello. Ma persino l’on. Tommaso Calderone ha avuto da ridire sull’arroganza dell’assessore alla Sanità, reo di non aver risposto a una convocazione della commissione bicamerale per l’insularità e, in seguito, e di non aver offerto alcuna prospettiva tangibile per la riapertura del Pronto soccorso nell’ospedale della “sua” Barcellona.
La scarsa rappresentatività di Forza Italia al governo della Regione, per di più con l’unico assessore di partito ormai “dissidente” (Tamajo), rende inverosimile placare i mugugni. E rende impossibile la difesa d’ufficio del coordinatore Caruso, che avrebbe dovuto fare squadra, favorendo la coesione, e invece è costretto a incassare un addio dopo l’altro sui territori. A Palermo se n’era già andato l’ex assessore Andrea Mineo, dopo la scelta di farlo fuori (perché umanamente legato a Gianfranco Micciché); poi ha fatto le valigie Ottavio Zacco, fino alle Europee fedelissimo di Tamajo (e anche il più votato in Consiglio comunale); lo stesso Gianluca Inzerillo, vicino al vicepresidente della Camera Giorgio Mulé, era stato costretto ad abdicare dal ruolo di capogruppo per la sua nomina nel Consiglio nazionale di Forza Italia (ma anche per essersi dissociato dal resto della maggioranza sui diritti civili e per aver avanzato una richiesta di accesso agli atti utile a verificare le spese del Comune per il concerto di Elodie).
Si sono sfilati uno alla volta. Lo stesso Edy Tamajo, prima della vicenda Pennino, ha vissuto sulla propria pelle l’addio al Direttore generale del dipartimento Attività produttive, Carmelo Frittitta, paracadutato in seguito nel gabinetto del governatore. Fatti alla mano, non si può certo dire che il partito attraversi un momento di salute impeccabile. Gli smottamenti sono diventati sempre più frequenti all’indomani delle elezioni Europee in cui FI ha raccolto oltre il 23% grazie all’apporto del Mpa di Lombardo e della Democrazia Cristiana di Cuffaro (con la quale, però, è stata rifiutata un’ipotesi aperta di apparentamento).
E adesso c’è il capitolo delle elezioni provinciali, un altro banco di prova per una coalizione in disarmo. Un evento che rischia di mettere a dura prova la tenuta di Forza Italia. Caruso, dopo aver fatto gli sforzi necessari per tenere insieme i pezzi del puzzle a livello centrale, ha passato il comando delle operazioni alle delegazioni provinciali dei partiti: è stato l’inizio della fine. Tempo fa, in qualche cassetto a Palermo, sembrava pronta una richiesta a Tajani per la revoca dell’incarico al coordinatore regionale. Cestinata. Questa difficoltà nel controllare la rotta del natante, però, potrebbe tradursi in qualche complicazione inattesa al momento di blindare il nome di Schifani per la seconda legislatura. Prima bisognerebbe cementare Forza Italia, poi convincere gli altri che non esiste soluzione migliore. Altrimenti sono guai.