Dentro Forza Italia è allerta tsunami. Schifani è alle prese con una girandola di malumori, che si snodano da Catania a Palermo, dall’amministrazione Trantino al governo della Regione, e che rischiano di far deflagrare il partito di Berlusconi. L’ottimo risultato ottenuto nel capoluogo etneo, in lieve crescita rispetto a cinque anni fa, ha consegnato al presidente – che esercita il controllo sul partito tramite il fedelissimo Marcello Caruso – una situazione quasi rovinosa: da un lato c’è Marco Falcone, rinfrancato dall’elezione di tre consiglieri comunali; dall’altro Nicola D’Agostino, ex Italia Viva, che aspira a conquistare uno dei due assessorati in palio nella squadra del nuovo sindaco.
In campagna elettorale, per smussare una tensione sempre più palpabile, Schifani aveva deciso per la nomina in prima battuta dello stesso Caruso, palermitano, nell’attesa che si consumasse il verdetto delle urne. Caruso, come logico, rinuncerà all’incarico, aprendo un orizzonte di guerra. Falcone avrebbe già indicato il nome di uno dei due assessori previsti in quota azzurra: cioè Giovanni Petralia, recordman di preferenze (1.800 circa). Mentre l’altra casella se la contendono un paio di riferimenti dell’assessore al Bilancio (Melania Miraglia e Antonio Villardita) e Salvo Tomarchio, giovane imprenditore vicino a D’Agostino, ch’era stato primo degli esclusi alle Regionali.
Sarebbe un colpo basso per Falcone, che dopo aver capeggiato la fronda anti-Micciché – celebre il “Te ne devi andare a casa” urlato in faccia all’ex presidente dell’Ars durante la Festa del Tricolore – da qualche tempo è in rotta di collisione col governatore, che in questi mesi gli ha imputato parecchi insuccessi: a partire dall’impugnativa della Finanziaria, che Roma ha vanificato per circa 800 milioni (non ancora imputabili al tesoretto degli Fsc); senza tralasciare la gestione dell’aula durante il dibattito, in cui Falcone avrebbe concesso un po’ troppo spazio alle opposizioni. Episodi che hanno finito per allontanare i due “complici”, il cui rapporto è segnato da troppe oscillazioni. Ad esempio la nomina di Gaetano Armao come consulente esterno di Schifani in materia di fondi extraregionali (a 60 mila euro l’anno): un chiaro segnale di insofferenza (e sfiducia) che, dall’esterno, è stato fotografato come un commissariamento dell’assessore.
Anche sulla rimodulazione delle Camere di Commercio tra Schifani e Falcone s’è consumato un incidente di percorso: con quest’ultimo che – platealmente – ha deciso di non votare la nuova mappa degli enti camerali, con la previsione di riunire sotto lo stesso tetto Catania, Siracusa e Ragusa (chiara avvisaglia di un “assalto” alla Sac e a Fontanarossa). L’ultimo boccone amaro Falcone ha dovuto mandarlo giù ad Acireale, dove la sua civica ha “dovuto” schierarsi a supporto del candidato Giovanni Barbagallo (vicino a D’Agostino) in vista del ballottaggio di domenica. Lo scollamento è totale, ma c’è un problema: Falcone ha dimostrato di avere i voti. Anche se Schifani ha provato a ridimensionare il suo risultato a Catania, parlando di “gioco di squadra”. Ora si fa largo un’altra ipotesi: l’esclusione dalla giunta in occasione del restyling. Potrebbe succedere già all’indomani delle Amministrative, o fra qualche tempo, comunque entro l’estate. E’ una decisione che Schifani deve ponderare bene, perché avrebbe contraccolpi certi: Falcone è l’attuale commissario provinciale di Forza Italia a Catania, ma è anche legatissimo a Maurizio Gasparri. La vicenda rischia di detonare ai piani alti.
Spifferi romani non nascondono una certa delusione per le prestazioni di FI alle Amministrative siciliane. Sia a Trapani che a Ragusa la lista si è rivelata un flop: e mentre nel secondo caso non poteva contare su alcun rappresentante di calibro (perché non ricorrere a una civica?), nel primo, invece, è evidente il flop di Stefano Pellegrino, un altro pezzo forte che all’Ars riveste il ruolo di capogruppo. Ebbene, a Trapani Forza Italia ha raggranellato il 3,61 per cento, che non ha fatto scattare seggi in Consiglio comunale. Non è andata molto meglio a Siracusa, dove il consenso si è dimezzato rispetto alle Regionali di otto mesi fa (passando dal 14 al 7) e dove la spaccatura fra i Gennuso ed Edy Bandiera ha neutralizzato le chance di vittoria al primo turno. Ferdinando Messina, candidato forzista sostenuto da quasi tutta la coalizione, ha preso i 32% e al ballottaggio dovrà avvalersi dell’apporto dei renziani. Mentre Bandiera, già ex assessore all’Agricoltura nel governo Musumeci, sosterrà l’uscente Francesco Italia (calendiano doc), pronto a fargli da vice.
Insomma, la prima fase del nuovo corso Schifani-Caruso è stata caratterizzata da liti e spaccature. Ma soprattutto da sconfitte cocenti, che si riflettono sull’azione di governo, ridotta ai minimi termini, e sul rapporto con gli alleati. Eppure, nonostante la fatica oggettiva nel portare avanti la baracca, il presidente della Regione si lancia in analisi dettagliate sulla gestione del partito a livello nazionale, reclamando più spazio per gli amministratori del Sud e tirando le orecchie a chi c’è già: “Il rilancio di Forza Italia? Ben venga, purché non sia fatto seguendo la logica della porta accanto. Sui media c’è un gran parlare dei nuovi assetti. Di un rilancio che è da condividere, purché, come non è avvenuto a volte in passato, si basi su principi condivisibili e concordati”. E ancora: “Bisogna ascoltare la voce di tutti – dichiara a Repubblica – anche dei dirigenti che lavorano sul territorio. Sono convinto che Berlusconi terrà conto del gradimento elettorale espresso nelle diverse aree del Paese. Purtroppo in passato questo non è accaduto. Non abbiamo bisogno di una Forza Italia con una classe dirigente del Nord e con i voti che vengono dal Sud. E’ uno strabismo che va corretto”.
Ma mettere prima un po’ d’ordine in casa propria? Niente… Se da un lato preoccupa che FI finisca nelle grinfie del nuovo “cerchio magico” gestito da Marta Fascina, dall’altro è esaltante la prospettiva di poter fare uno sgambetto a Tajani, l’attuale coordinatore nazionale (nonché Ministro degli Esteri). Una rivalità che s’è già accesa in sede di “mercato” (uno ha pescato Cancelleri, l’altro la Chinnici) e che potrebbe condizionare la vita del partito nei prossimi mesi: “Tajani è una persona rispettabile e una storica risorsa del partito, come altri. Il problema – ha detto Schifani – non è lui ma l’esigenza di trasformare Forza Italia in un partito aperto”. Più che aperto, di questo passo, diventerà vuoto.