Il sostegno dell’ex assessore regionale (cit.) al sardo Salvatore Cicu, è il casus belli che rischia di far esplodere Forza Italia. Lo confermano i toni di queste ore, che mai prima d’ora avevano toccato un livello simile di rivalità e asprezza. Forza Italia contro Forza Italia. Da un lato Gianfranco Miccichè, commissario regionale del partito, che durante un evento in cui sponsorizzava la candidatura di Giuseppe Milazzo a Bruxelles, ha definito Armao come un “ex assessore” della Regione Sicilia. Una stilettata figlia di molte contraddizioni (ad esempio le Amministrative a Gela). Dall’altro lato Armao raccoglie la sfida e, accompagnato dal suo padrino politico, Raffaele Lombardo, va seminando una diceria: quella di essere soltanto loro – lui, Lombardo e Riccardo Gallo – gli unici sostenitori della candidatura di Silvio Berlusconi al Parlamento europeo, mentre gli altri si azzannano nella competizione che vede protagonisti Milazzo, da un lato, e Saverio Romano dall’altro, senza curarsi troppo del destino del Cav nelle Isole. Maldicenze che dall’altra parte della barricata non vogliono tollerare oltre.
Il redde rationem, per abusare del latino, una materia che per l’ex assessore potrebbe risultare meno familiare – ad esempio – dell’economia, arriverà all’indomani delle elezioni Europee, dove il risultato conseguito nelle urne dal partito di Berlusconi (che in Sicilia reggerebbe) potrebbe condizionare le scelte dentro e fuori dai recinti azzurri. E allargarsi, a macchia d’olio, fino al governo Musumeci. Forza Italia, il partito che non gli ha dato i natali ma lo ha accolto grazie ai convincimenti del suo leader maximo – i cortigiani di Arcore, con Licia Ronzulli in testa, avevano addirittura messo a punto una discesa in campo da governatore – adesso gli volta le spalle. Dopo che Armao ha scelto di rinnegare il negoziato politico grazie al quale è finito ai vertici di una Regione che aveva già abbondantemente frequentato con Raffaele Lombardo. Regione dove continua ad occupare senza più il sostegno di chi l’ha scelto – cioè i deputati di Forza Italia – due posizioni di prestigio: non solo al fianco di Musumeci, ma anche da assessore all’Economia, con delega (mai restituita) su Riscossione Sicilia. Questo piccolo appunto – che non è il solo, c’è anche dell’altro – è d’obbligo per addentrarsi in un discorso più ampio, che non merita di essere confinato (soltanto) nelle cronache politiche degli ultimi giorni. Anche perché rivela di che pasta è fatto il personaggio che Miccichè oggi contesta con tanta veemenza.
Prima di Cicu, e di Berlusconi, e di Micciché, viene infatti Riscossione Sicilia. E la famosa “questione morale” – ma anche politica – di cui, negli ultimi tempi, si sono perse un po’ le tracce. A luglio 2018 esplode il caso: il signor Armao risulta moroso nei confronti del Fisco per non aver mai saldato 22 cartelle esattoriali, l’equivalente di 392 mila euro. A segnalarlo è Riscossione Sicilia, che si incarica di riscuotere i tributi nell’Isola, preannunciando il pignoramento dello stipendio dell’assessore, e azionando tutti gli uffici della Regione per conoscere ogni singolo movimento di Armao. L’ufficio delle tasse gli contesta di non aver dichiarato parte dei suoi compensi derivanti dall’attività di avvocato amministrativista (una buona parte risalenti al 2012). Lo stesso Armao, dopo aver gridato al complotto, annuncia l’intenzione di rimettere la delega su Riscossione – già, Riscossione dipende direttamente dalla Regione e dall’assessorato all’Economia – nelle mani di Musumeci. Non poteva essere controllore e controllato allo stesso tempo. Ma l’annuncio rimane una promessa. E, con un battito d’ali, la stessa Riscossione fa un passo indietro, dopo aver accertato che per le cartelle esattoriali contestate lo stesso assessore aveva chiesto la rottamazione, che di fatto interrompe l’azione esecutiva. Una forma di patteggiamento, con cui ottenere uno sconto e salvare l’onore. Ma la “trattativa”, in cui Armao si aggiudica un paio di ricorsi, viene condotta nella doppia veste – di controllore e controllato – che farebbe storcere il naso, oltre che al Movimento 5 Stelle che ne ha denunciato il conflitto d’interesse, persino al garantista più accanito.
Ma per meglio inquadrare il personaggio bisogna andare a un’altra intricatissima vicenda. Perché nella storia del contrastatissimo assessore c’è un altro “giallo”. Quello che lo lega a un discutibile personaggio del mondo immobiliare: l’imprenditore di Pinerolo Ezio Bigotti, arrestato recentemente in seguito a un’indagine sul “sistema Siracusa” per corruzione in atti giudiziari e falso ideologico. Un fil rouge lega Armao e Bigotti. L’avventuriero piemontese, titolare del 25% di Sicilia Patrimonio Immobiliare – una società partecipata al 75% dalla Regione che avrebbe dovuto valorizzare il patrimonio immobiliare dell’Ente – fra il 2007 e il 2009 si occupò di completare un censimento dei beni immobili della Regione per un valore di 91 milioni di euro. Un censimento commissionato dal governo Cuffaro e che, a dieci anni di distanza, nonostante si trovi nei database di palazzo d’Orleans, nessun dipendente regionale ha mai avuto la fortuna di leggere.
Ma qui le particolarità si succedono: la Psp Scarl, che costituiva il 25% di SPI, è il raggruppamento che faceva capo a Bigotti e alla sua F.B. (Finanziaria Bigotti), controllata a sua volta (per il 45%) da Lady Mary II, società con sede in Lussemburgo, che è anche un noto paradiso fiscale. La Regione, di cui Armao nel 2010 divenne assessore all’Economia (erano i tempi del governo Lombardo), prima autorizzò la spesa di 91 milioni di euro per il censimento-fantasma, estero su estero, poi ne bloccò il pagamento, aprendo di fatto un contenzioso che oggi ammonta a circa 140 milioni. Ci sono, dunque, altri 49 milioni che potrebbero aggiungersi ai 91 già ricevuti dalla combriccola di Bigotti a titolo di risarcimento. Armao, in una vita precedente, era stato consulente dell’avventuriero di Pinerolo. Domanda: ha poi messo mano, da assessore, nella vicenda? La procura di Palermo e quella della Corte dei Conti si sono palleggiati a lungo la questione. Ma una decisione non è mai arrivata. Probabilmente, stando alle dichiarazioni del presidente Claudio Fava, se ne occuperà la commissione regionale antimafia. O la stessa aula di Palazzo dei Normanni dove è in programma un dibattito sulla questione morale.
Che Armao sia uno dei motivi di scontro dentro Forza Italia non è certo una novità. La sfiducia dichiarata da Micciché ha tuttavia ufficializzato la spaccatura. “Se dentro il partito ci sta uno come Toti non vedo perché non possa starci Armao – aveva sentenziato Micciché, qualche tempo fa, in un’intervista al “Corriere” – Forza Italia è una dittatura anarchica”. Nel senso che ognuno fa il cavolo che gli pare. Armao gliene aveva dato conferma presentandosi alla convention leghista di Gela, dove ha rischiato di far perdere Lucio Greco, sostenuto ufficialmente dal partito. Ma il senso del tragico non gli appartiene, così è andato oltre, dichiarando il suo appoggio a Salvatore Cicu, il candidato sardo della circoscrizione Isole che anche la compagna di Armao, la deputata alla Camera Giusi Bartolozzi, ha definito uomo con “altissimo senso delle istituzioni” al contrario di altri “mestieranti”. Infischiandosene del sentimento del partito e degli altri deputati forzasti dell’Ars, che hanno scelto di sostenere la corsa di Giuseppe Milazzo – siciliano, palermitano e attuale capogruppo a Sala d’Ercole – verso Bruxelles.
La spaccatura interna a Forza Italia difficilmente potrà rimarginarsi: né in caso di successo elettorale, né tanto meno in caso di disfatta. E l’assessore Armao, già bollato come “ex”, difficilmente resisterebbe all’insurrezione del partito che lo ha votato, di concerto con Berlusconi, come vice capo dell’esecutivo a conclusione di una tornata elettorale – le Regionali del 2017 – in cui non si è nemmeno candidato per misurare il proprio peso. E c’è un segnale ben preciso. In un’intervista a Buttanissima di qualche tempo fa, è stato l’onorevole Mancuso, origini calatine, a porre la questione: “Io per primo, da componente della commissione Bilancio, non posso più fidarmi e affidarmi a uno che in tre giorni ha tradito in tutto ciò che ha fatto”. Insomma, quando si parlerà di Bilancio, di “collegato” alla Finanziaria o di altre questioni economiche, non è escluso che gli “ex” colleghi di partito possano mettersi di traverso, logorando ancora di più il governo di Musumeci.