Quello che Renato Schifani non dice nel suo ultimo francobollino del 2023, al Giornale di Sicilia, è come spera di “domare” l’assessore ai Beni culturali, il patriota Francesco Paolo Scarpinato, che qualche giorno fa aveva deciso di dare seguito alla propria idea (già sbandierata, e rientrata, in autunno), applicando un aumento medio del 30 per cento al prezzo dei ticket per parchi e musei. Schifani, che non ne sapeva nulla, è dovuto scendere a patti, costringendo l’assessore a una parziale retromarcia: l’aumento del 15% sarà applicato da subito, il resto dal 2025. Ma al netto di conoscere i prezzi per la Valle dei Templi o per la Villa Romana del Casale, resta un dato politico: che gli assessori di Fratelli d’Italia, in questa giunta, godono di ma ni libere e di una certa impunità. E questa condizione è data dal fatto di appartenere a una “frangia”, quella del Balilla Messina, che se ne frega dei diktat (o almeno ci prova). Altrimenti Scarpinato sarebbe già fuori dopo lo scandalo di Cannes o dopo le aperture a Cateno De Luca sulla gestione del Teatro Antico di Taormina.
Invece resta, e rimarrà, al suo posto nonostante Schifani abbia provato a scalciare per farlo fuori. E qui si apre la seconda questione, politica e personale: il presidente della Regione, col passare dei mesi, sta perdendo il controllo della squadra. I Tre Magi si sono ritagliati spazi naturali per la loro consistenza elettorale: nell’ultimo francobollino, rimanendo in tema, Schifani ha addirittura elogiato pubblicamente Falcone (nemico giurato dentro FI) e Tamajo, sostenendo di essere stato lui a chiedere a entrambi di candidarsi alle Europee: “Falcone ha una tempra mostruosa – ha detto il governatore – Edy sta lavorando prendendo a cuore le cose”. Sono gli unici, assieme a Sammartino, che già godevano di spazio e di un ricco portafoglio: con le settimane è cresciuta, gioco forza, anche la considerazione da parte del “capo”.
Ma gli altri? Schifani, tracciando un diktat prima della composizione della giunta, li avrebbe voluti tutti con un seggio all’Ars (FdI, da Roma, gli ha rifilato due pacchi) e con competenze comprovate (“No tuttologi”). Ma non è riuscito a tenere il punto sulle altre caratteristiche: li avrebbe voluti anche ubbidienti e servizievoli come Marcello Caruso, che grazie a questa fedeltà supina si è guadagnato i ranghi di commissario regionale del partito (oltre che di suo capo di gabinetto). Per un motivo o per un altro, però, in pochi possiedono questi requisiti. Con l’assessore Roberto Di Mauro, esponente autonomista poco incline ai termovalorizzatori, era finita in caciara e il tentativo di depotenziarlo dalla delega ai rifiuti aveva scatenato un casus belli con Lombardo e Salvini (federato dell’Mpa).
Anche di questo avrebbe dovuto e potuto parlare Schifani nell’ultima intervista di fine anno. Invece, fingendo che sia sempre tutto apposto, il presidente ha ringraziato sia Di Mauro che Lombardo. Il primo “per il suo impegno sul tema delicato” del piano dei rifiuti (che la Cts di Armao avrebbe appena esitato); il secondo perché “non dimentico che fu tra i primi a dare sostegno alla mia candidatura. C’è stato qualche problema recentemente tra di noi, ma poi ci siamo incontrati e subito chiariti”. Di certo avranno trovato la quadra sugli inceneritori, sugli elenchi (“idonei” e “maggiormente idonei”) da cui pescare i manager della sanità, sulle pratiche “dell’adulazione, della delazione e del servilismo” esercitate nelle stanze di Palazzo d’Orleans, denunciate qualche settimana addietro dallo stesso Lombardo. Avranno cancellato i dissapori e lodato l’azione di governo, e le tante riforme mandate in porto in questi primi 14 mesi di legislatura. Già, le famose riforme.