Il mondo “lindo” decantato dai 5 Stelle non esiste. Quando hai a che fare col potere, finisci inevitabilmente per sporcarti le mani. Colpa dei protagonisti o del sistema? Non è questo il punto. Quando i fari della campagna elettorale si spengono, rettitudine e moralismi si perdono nelle piaghe della quotidianità. La politica è piena di questi casi. Ma se qualcosa del genere capita ai grillini, lo stupore è doppio. Perché tornano in mente le belle parole spese alla vigilia del voto, quel tentativo “mostruoso” e pretenzioso di accantonare la vecchia classe politica in nome di una rivoluzione di costume, di abitudini (le buone abitudini), di comportamenti. E poi ti ritrovi con un sindaco espulso dai capi a sei mesi dall’insediamento; con un altro “vittima” di inchieste giudiziarie; e con un altro ancora esautorato anzitempo dallo scranno più alto. I 5 Stelle siciliani – come e più di altri colleghi – navigano in acque torbide. Lo sfascio pentastellato di Gela, Bagheria e Ragusa è un ammonimento (con vista Amministrative) e un dato di fatto allo stesso tempo.
Laddove regna il Movimento, non tutto è candido. Per informazioni chiedere a Domenico Messinese, sindaco di Gela eternamente pro-tempore. Hanno provato tre volte a staccargli la spina: le mozioni di sfiducia, al momento, non lo hanno scalfito. Per tre volte dal giorno della sua elezione (giugno 2015) ha rivoltato la giunta come un calzino sporco. E vorrebbe tuttora azzerarla, per chiedere il sostegno di quei partiti – Forza Italia e Diventerà Bellissima – a cui mai, tre anni fa di questi tempi, si sarebbe sognato di sussurrare parole responsabili.
Messinese è rimasto solo. IL M5S lo ha espulso a sei mesi dall’insediamento: per non aver tagliato il suo stipendio e quello della giunta, per non aver sbattuto le porte in faccia a Eni e al suo progetto di riconversione green (che tanto green non sembrava). Da quel momento il sindaco “coraggioso” – che sa bene di dover ammaestrare una città complessa – è solo al comando. In palese difficoltà, alla continua e spietata ricerca di numeri per sopravvivere. Con il rischio, evidente in questi casi, di mettere Gela in secondo piano, se non di mandarla in malora (i conti non sorridono) causa immobilismo. “I Cinque Stelle? A molti sembrano la medicina, invece sono il veleno” ha sentenziato tempo fa Messinese. Vaff******.
Bagheria, che nel 2014 ha eletto il giovanissimo Patrizio Cinque (classe ’85), è il classico esempio di sfascio a 5 Stelle. Almeno da quando – siamo a settembre dello scorso anno – la Procura di Termini Imerese ha deciso di contestare al primo cittadino, modello esemplare di comportamenti, una serie di reati tra i quali abuso d’ufficio e turbativa d’asta. E persino il tentativo di salvare la casa abusiva del cognato. Inizialmente la Procura aveva chiesto e ottenuto l’obbligo di firma, poi “cancellato” dal Gip. Adesso, in attesa di sapere se gli verrà notificato un avviso di garanzia (l’udienza è nel prossimo giugno), si parla più di lui che di Bagheria. Di lui, che ebbe almeno l’accortezza di sospendersi dal Movimento, prima che Di Maio da modello esemplare lo derubricasse a “perfetto sconosciuto”.
Il caso più turbolento e più attuale, che s’intreccia a fagiuolo con le Amministrative, è la “guerra ragusana”. Quella in cui Federico Piccitto – il secondo sindaco a Cinque Stelle in un comune capoluogo dopo Pizzarotti a Parma – ha già perso in partenza. Scalzato dalle pressioni di un secondo Meetup cittadino, e da alcuni rancorosi che gli hanno impedito di ricandidarsi. A testimoniarlo alcune registrazioni audio prontamente diffuse dalla stampa. La verità che i 5 Stelle, faticosamente, hanno provato a costruire attorno alla vicenda regge come un castello di carta alle prese con un monsone. La guerra intestina sollevata dalla deputata regionale Stefania Campo – costretta a dimettersi da assessore alla Cultura nel 2015 perché il marito venne assunto da un’azienda concessionaria del Comune (in quella operazione si vide già del losco) – ha prodotto i suoi effetti ad anni di distanza. Ma è arrivata puntuale come l’asteroide nella pubblicità delle brioche, spazzando via Piccitto, il suo vice Iannucci e una classe dirigente che prova a rifarsi una verginità con Antonio Tringali, il nuovo candidato a sindaco. Quasi certamente spacciato.
Nei tre casi elencati, oltre a perdere il Movimento 5 Stelle in termini di immagine e coerenza, perdono le città di Gela, Bagheria e Ragusa. Lo sfascio ha colpito anche loro e i cittadini che a quel candore avevano creduto in massa.