Imprenditrice, mamma. Siciliana di mare aperto che strizza l’occhio alla sua Isola come ad un trampolino di lancio. Erede dell’impero dei mari, è al timone di una delle più antiche compagnie di navigazione d’Italia. Federica Barbaro, amministratore delegato del principale braccio operativo del gruppo armatoriale Pietro Barbaro, è figlia della settima generazione di una famiglia che nel segno del mare ha scritto la propria tradizione. Quasi mille dipendenti, fatturato a 7 zeri, sede ai Parioli ma cuore a Palermo, a Palazzo Trinacria, ha girato il mondo nel nome di un gruppo specializzato nel trasporto del petrolio.
Imprenditrice e mamma, dunque, ma anche donna a scapito di un antiquato immaginario che vedrebbe questo un mestiere per soli uomini. “Anche mia nonna paterna ha fatto questo lavoro – racconta la Barbaro -. Ho iniziato a 22 anni, dopo la laurea. Dopo tante esperienze in giro per il mondo, ho iniziato a seguire le orme di famiglia. Quando ho iniziato a lavorare, oltre ad essere donna ero pure molto giovane. Se penso ai primi incontri, ero sempre la più giovane e l’unica donna. Oggi invece abbiamo invertito la rotta. Ci sono sempre più ragazze coinvolte in aziende come queste. Come in Scandinavia o in Grecia”.
Un mestiere mondiale che non conosce frontiere, che esplora il mondo, nel nome dell’ambiente. “Petrolio e inquinamento dei mari sono un luogo comune ampiamente superato – precisa -. Negli ultimi vent’anni si è fatta un’operazione di ammodernamento che segna una svolta in questo mercato. Le nostre navi non solo non hanno paura dei ghiacci, ma sono costruite appositamente per solcarli. Sono moderne, efficienti, sostenibili, ecologiche. Sono controllate e rispettano altissimi standard di sicurezza. Veniamo continuamente lodati per la nostra metodologia sia a bordo che a terra. E siamo stati i primi a percorrere la grande qualità tecnologica. È nostra la prima nave a doppio scafo in Europa. Il nostro mantra è il rispetto dell’ambiente”.
Russia, Arabia Saudita, Azerbaigian, ha girato tutto il mondo emerso sopra ai giacimenti di petrolio ma il mare più bello che non smetterà mai di solcare è quello delle Isole Eolie. “Mio padre comprò lo storico albergo Mari del Sud, un resort extralusso a Vulcano – racconta ancora Federica Barbaro che, nell’azienda di famiglia, ha al suo fianco la sorella e il cugino -. Quell’isola è per noi un luogo di accoglienza. Ospitiamo gente da tutto il mondo per fargli conoscere la nostra Sicilia e la nostra Palermo. Tutti rimangono senza fiato. I turisti apprezzano la duttilità di un siciliano, la sua grande forza, la sua fantasia, il suo saper essere cittadino del mondo con saldissime radici”.
Una vita sposata al mare quella di Federica Barbaro. “Il massimo è trascorrere le mie giornate in gommone e nuotare”. E, proprio al mare, ha dedicato un’accademia all’interno di Palazzo Trinacria, quartier generale palermitano dell’azienda. La fondazione nelle stanze del palazzo rivolto verso il Foro Italico, con una terrazza contigua a quella di Palazzo Butera sulle Mura delle Cattive, è stata creata nel 2007 in occasione del centenario dalla nascita di Pietro Barbaro, padre di Alfredo e Giovanni Barbaro, armatori siciliani di lunga tradizione. È lì che si promuove la cultura mediterranea tramite incontri, eventi sociali e artistici, in collaborazione con istituti di educazione superiore, università, enti pubblici e partner privati.
E, proprio in occasione di Manifesta 12, la Fondazione ospiterà dal prossimo 16 giugno al 4 novembre le opere di Taus Makhacheva. Per la biennale d’arte contemporanea, l’artista russa realizzerà una video-performance strettamente legata alla memoria storica e al territorio, alla precarietà delle vite umane e al passaggio del tempo. Il progetto si chiama “Baida” ed è stato sviluppato per la 57esima Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia nelle acque del Mar Adriatico dove una serie di performer apparivano e scomparivano su una barca capovolta, trasportata dal Mar Caspio fino al mare della laguna.
Il lavoro, ospitato all’interno dei saloni della Fondazione Pietro Barbaro per la prima volta, si è evoluto a partire dalle molteplici conversazioni che l’artista ha intrattenuto con i pescatori del villaggio di Starii Terek in Daghestan, repubblica della Federazione Russa, per area e per popolazione la più grande del Caucaso settentrionale. Un elemento ricorrente nelle loro storie è la paura di cadere in mare e di morire senza che il loro corpo venga più trovato. Una pratica comune tra i pescatori è infatti quella di legarsi alla prua della barca, così, se la barca si dovesse capovolgere facendoli morire in mare, le famiglie potrebbero comunque recuperare il corpo e compiangerlo.