Leggiamo sulle agenzia una nota, dai toni nervosi, del rettore dell’Università di Palermo. Il professor Micari lamenta che nella relazione della Commissione Antimafia dell’Ars sui beni sequestrati e confiscati in Sicilia (duecento pagine, ottantuno audizioni, otto mesi di lavoro: approvata la settimana scorsa all’unanimità) abbia trovato posto la dichiarazione di un imprenditore che – nel contesto di un’audizione durata oltre due ore – lamentava i meccanismi imperfetti di formazione degli amministratori giudiziari, riferendosi anche a “corsi di alta formazione” poco efficaci. Ora, che l’Università di Palermo si riconosca in quell’incidentale e se ne senta offesa (pensando alle proprie esperienze formative) è cosa comprensibile. Che si senta offesa dalla relazione è cosa piuttosto stravagante.
In tre anni di attività abbiamo audito, nel corso dei nostri lavori, oltre quattrocento persone e non sempre (anzi: raramente) abbiamo condiviso lo spirito o il merito delle loro affermazioni. Ma abbiamo ritenuto di dover riportare fedelmente ciò che ci veniva testimoniato, perfino quando si trattava di illazioni o denigrazioni verso la Commissione stessa. Censurare un audito (temendo che altri possano sentirsi offesi per associazione di idee) è un’idea alquanto originale del rigore e della limpidezza con cui una Commissione parlamentare d’inchiesta è tenuta ad operare.
Vale la pena aggiungere che critiche serrate ai meccanismi di formazione e di selezione degli amministratori giudiziari sono state avanzate (e naturalmente riferite nel corpo della nostra relazione) da molti altri auditi: il presidente delle sezioni misure di prevenzione del tribunale di Trapani, dottor Serio (“vorremmo una certificazione di professionalità che provenga dai consigli dell’ordine… un albo di professionisti che vogliano fare solo gli amministratori giudiziari con formazione specifica”); il presidente delle sezioni misure di prevenzione del tribunale di Caltanissetta, dottor Agate (servono “manager di Stato, specializzati”); il giudice Petralia di Caltanissetta (preferiremmo “figure intranee alla pubblica amministrazione, con un concorso ad hoc per amministratore giudiziario”); la professoressa Stefania Pellegrini, direttore presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna del master di II Livello in Gestione e riutilizzo dei beni sequestrati e confiscati alle mafie (“gli amministratori giudiziari vengono formati solo nelle questioni tecniche e aziendalistiche… se la visione di insieme manca, rende l’amministratore giudiziario del tutto miope”).
Leggiamo infine, dalla penna del Magnifico Rettore, che l’Università di Palermo intende avviare “un laboratorio con i nostri migliori ricercatori per sottoporre ad analisi critica il lavoro fin qui condotto dalla Commissione regionale”. Che dire? Ne siamo onorati.