A Bruxelles Marco Falcone respira già aria di casa: “Dopo aver confermato Manfred Weber alla guida del gruppo Ppe e indicato Roberta Metsola per la conferma alla presidenza del Parlamento, si lavora per un nuovo mandato a Ursula Von der Leyen al vertice della Commissione Ue”. Capite? L’assessore all’Economia della Regione siciliana, eletto con oltre 100 mila preferenze, ha già fatto i suoi endorsement. A nome, ovviamente, di Forza Italia, che non vede l’ora – vale per Tajani – di premiarlo con un ruolo importante, magari in qualche commissione che conta.
Falcone ha sfilato nella sede del parlamento di Bruxelles, stretto mani, conversato amabilmente con Ursula. Poi si è esibito in alcuni selfie (che non guastano mai) e s’è concesso all’Ansa per la sua prima intervista da “maggiorenne”. Si è occupato di dinamiche europee, pur in attesa della proclamazione, e ha iniziato a studiare da eurodeputato: sa cosa l’attende. Dopo sette anni di governo alla Regione, e il passaggio traumatico da Musumeci (che lo custodiva come un principino) a Schifani (che ha provato in tutti i modi a depotenziarlo), si metterà a disposizione della sua Isola in maniera diversa. Sperando di contare qualcosa. E magari riuscirà a liberarsi delle tossine della campagna elettorale, vissuta in un clima di contrapposizione profonda col suo rivale più agguerrito: Edy Tamajo.
Che ieri, invece, era a Palermo per occuparsi della vertenza dei lavoratori Almaviva, e ieri l’altro, assieme a Schifani, pubblicava l’ennesima graduatoria relativa al bando “Connessioni, nuovi luoghi per l’innovazione”, in favore di quelle imprese che “intendono intraprendere un percorso di modernizzazione sia nel modello di business sia nell’accesso a tecnologie avanzate”. Nulla di più onorevole, per carità. Appare chiaro, però, che la prima preoccupazione di Tamajo non sia prendere un aereo e andare a vedere che aria tira dalle parti di Rue Wiertz, o tutt’al più della bellissima Grand Place. Né fare colazione con la Von der Leyen, esibendo sorrisoni d’altri tempi. L’ex Italia Viva è rimasto ancorato alla realtà regionale, blindato nel suo assessorato, dove continua a lavorare nella logica di “consolidare e ampliare il nostro sostegno tra gli elettori”. L’ha scritto qualche giorno fa su Instagram. “Il nostro ministro e segretario, Antonio Tajani, è pienamente consapevole del potenziale del nostro gruppo in Sicilia”.
Sarà che i politici ci hanno insegnato a soppesare ogni parola, ma questa dichiarazione, in effetti, nasconde molteplici letture. La prima: siamo noi a decidere cosa fare dei nostri voti, e se utilizzarli per intraprendere un’avventura europea o per consolidare il lavoro fatto nell’Isola, magari puntando a un upgrade. La seconda: non sono gli “aiutini” a renderci grandi, ma siamo noi – coi vari Cardinale, Cuffaro e Romano – ad aver reso grande Forza Italia, fino a raggiungere il 24% delle preferenze. Ergo, esigiamo rispetto. Tamajo non è la voce di Schifani, semplicemente perché è più forte di Schifani. Rappresenta, semmai, la nuova frontiera forzista: quella del partito “inclusivo” e aperto al contributo di tutti. In attesa che all’interno dei berluscones si affermi un modello e che si plachino gli scontri – come quello tra il governatore siciliano e Roberto Occhiuto sull’approvazione dell’autonomia differenziata – Tamajo si è portato avanti col lavoro: e in caso di permanenza nell’Isola (probabile), punterà direttamente alla Sanità.
Chi dovrà prendere il suo posto a Bruxelles, invece, è Caterina Chinnici. Quella che Antonio Tajani, noncurante dei trascorsi “giustizialisti” nel Partito Democratico (culminati nell’estromissione di Giuseppe Lupo dalle ultime Regionali), ha schierato come capolista. E che, nonostante l’aiuto di Raffaele Lombardo e del Mpa, si è piazzata al terzo posto. Santa Caterina dei Misteri, che durante lo spoglio per le Regionali di due anni fa non allestì neppure un comitato elettorale per commentare i risultati, è sparita anche questa volta. Sim-sala-bim. Ha smesso di occuparsi di politica, e ha ripreso a frequentare le giornate della legalità. Eppure durante una campagna elettorale rovente – a proposito di legalità – la sua voce per denunciare gli scandali siciliani (in primis quelli del Turismo) è apparsa assai fioca. Inesistente, diciamo.
Avrebbe avuto voglia, la Chinnici, di tornare in parlamento per direttissima, e maturare il vitalizio da 21 mila euro senza attendere che qualcuno dei suoi nuovi compagni di partito si facesse da parte. Purtroppo per lei non sono bastate 93 mila preferenze e il soccorso dell’ultima ora di Schifani (per evitare la figuraccia coi vertici romani). Caterina dovrà tribolare ancora qualche giorno. Ma l’attesa dei Re Magi, che arriveranno per portarle in dono la terza legislatura all’Europarlamento, non finirà per consumarla. La Chinnici è “santu che non suda” e sa cosa serve per starsene in Europa: compostezza, dialettica, amor proprio, e una spruzzatina di questione morale. Più che rappresentare la Sicilia significa rappresentare se stessa, la propria storia e la propria inconfutabile memoria. Vaglielo a spiegare a 93 mila siciliani che vorrebbero solo contare un po’ di più nel continente.