Sembra uno di quei titoli pensati per far incuriosire. E in effetti lo è. Il ghigno e la mucca, opera prima filmica di Fabio Nicosia, post cinquantenne che da sempre ama l’arte ma che, più che da parte, l’ha messa a latere del suo quotidiano dietro una scrivania. La musica in cima ai suoi pensieri, un pianoforte che un po’ alla volta è migrato verso il jazz.
Dopo un’anteprima all’Auditorium Rai di Palermo, domani il lungometraggio – un’ora e diciotto minuti – viene proposto in doppia proiezione (20,30 e 22,30) al Cineteatro Colosseum alla presenza del regista e degli attori. Lavoro autoprodotto dallo stesso Nicosia e dall’amico Vincenzo Verderosa.
Film musicale, è scritto. «Perché le note sono il mio linguaggio da sempre». Adesso Nicosia ha sperimentato pure quello della macchina da presa. Captata l’idea, letta la sceneggiatura, l’amico coproduttore gli ha detto: non puoi che dirigerlo tu. «Ho studiato tanto – racconta il neo-regista – per quanto registi non ci si possa inventare nel giro di poco più di un anno».
Il ghigno e la mucca ha una spiegazione psicoanalitica, evoca una turba dell’infanzia. «Quando ero bambino credevo di vedere un ghigno fuori dalla mia stanza, nel buio c’era questo sorriso che si faceva beffe di me, in silenzio, terrorizzandomi. La mucca, invece, è un’altra inquietudine infantile, di un mio caro amico, stavolta, che immaginava di essere osservato dal grande occhio del bovino. I mostri dell’infanzia hanno fatto la differenza nella vita di tutti noi e soprattutto in quella degli artisti, a causa ma anche grazie a loro sono nate pagine e pagine di letteratura, quadri, sculture, sinfonie…».
Film di nicchia, par di capire. «Certamente non un film convenzionale – precisa Nicosia – ma l’ambizione è che qualcuno degli spettatori vi si specchi anche se la storia è quella mia. Io, da debuttante, mi sono comunque divertito a girarlo». Sarebbe utile sapere se questo viaggio nel subconscio abbia anche aiutato il regista a saldare i conti che tutti abbiamo col nostro vissuto, emerso e non. «Sì, qualche conto l’ho chiuso. Certo, non tutti. Nella vita, non tutti i debiti con noi stessi sono solubili».