Son più di cento, son giovani e forti: quelli che arrivano in scena – i più grandi per età, studi ed esperienza – sfoderano un mix di grinta e ingenuità, di entusiasmo e spirito naif ma non manca loro un certo rigore e un senso di divertimento sano. Sarà la materia che trattano – la cultura e la tradizione popolari – ma i ragazzi del Teatrino Ditirammu regalano un senso di speranza e anche, basta non montarsi la testa, di rallegrante fiducia in una passione che può trasformarsi in un mestiere. Magari non per tutti e cento, però…
In queste sere alla Kalsa – nel baglio di Palazzo Petrulla che al suo interno ospita il piccolo palcoscenico e l’altrettanto piccola platea – 50 posti – della famiglia Parrinello (uno spazio creato nel 1995 da Vito e Rosa, terza o quarta generazione di artisti della tradizione popolare, e portato avanti, dopo la morte improvvisa di Vito lo scorso anno, dai figli Elisa e Giovanni), i “Picciotti della Lapa” – filiazione della scuola del Ditirammu – ripropongono (prossimo appuntamento con “Cavalleria rusticana” domenica 29 luglio alle 19,30) gli “inviti all’opera” commissionati dal Teatro Massimo, in un connubio produttivo che ha unito il più grande e il più piccolo palcoscenico della città.
Bisogna spiegare che la “Lapa” fu un’idea di Vito Parrinello. Il teatrino è piccolo? Tra turisti e spettatori autoctoni può ospitare non oltre 50/60 persone? Bene, si compra un’ApeCar, la si addobba con una struttura che echeggi scene, quinte e fondali e si va per le strade e per le piazze. Successo. L’idea è stata applicata la scorsa primavera all’opera lirica, Massimo e Ditirammu insieme hanno pensato ad un “avant l’opéra” di poco meno di mezzora per le strade e per le piazze (compresa quella del maestoso teatro), una breve performance che fungesse da réclame degli spettacoli allestiti nel gran tempio della lirica, come i “banditori” di un tempo. L’esperimento con gli ultimi tre titoli del cartellone 2018 prima della pausa estiva: “Cavalleria rusticana”, “Le nozze di Figaro” e “L’elisir d’amore”.
D’altronde, cosa c’era un tempo di più popolare del teatro d’opera? E così con libretti (adattati dal giornalista e scrittore Daniele Billitteri) e spartiti alla mano, i “Picciotti della Lapa” si sono confrontati con un genere per loro nuovo sfidandolo con l’improntitudine della loro età. E’ una specie di gioco, certo, ma un gioco molto serio anche se perfino la drammaticità del verismo di Mascagni, gli ardori erotici settecenteschi tutti merletti e crinoline di Mozart e il sentimento sempliciotto dei contadini di Donizetti vengono quasi, ma con grande rispetto, messi in burla. Molte licenze, insomma, che il pubblico ha mostrato comunque di perdonare tutte.
Risultato? La gente se l’è goduta e se la gode anche in queste sere al baglio di Palazzo Petrulla. “Sarebbe stato un peccato – confessa Elisa Parrinello – disperdere tutto questo lavoro, così abbiamo pensato di riprenderlo qui, ‘a casa nostra’, all’aperto”. Certo, quella mezzora di divertissment non poteva essere l’offerta di una serata tout court. E così s’è pensato a una sorta d’aperitivo, a cominciare dall’orario, le 19,30, con una prima parte di spettacolo dedicata a canti e danze delle tradizione dell’Isola e una seconda riservata invece al “pre-opera” più faceto che serio. Un’orchestra di sette elementi, in scena una decina di “Picciotti” supportati da alcuni professionisti di navigata esperienza (Stefania Blandeburgo, Marco Manera, Alessio Barone) che danzano, cantano e recitano sfiancandosi senza apparente fatica.
L’Opera Lapa (dopo l’Opera Camion con la quale il Massimo ha portato “estratti” dei titoli del repertorio melodrammatico per le periferie della città) è una sorta di bignamino allegro e spesso irriverente, al quale si concedono tutte le “variazioni sul tema” anche se, alla fine, Turiddu muore sempre ammazzato, Figaro e Susanna si sposano dopo le note peripezie e Nemorino e Adina coronano il loro sogno d’amore. Magari “concedendosi” una contradanza.