A Roma non vuole candidarsi nessuno: Tajani ha detto che toglierebbe tempo al governo, Salvini non ci pensa nemmeno (e farnetica proponendo Vannacci). E la Meloni, che già fatica a trovare la quadra sulle Regioni, dovrà scendere a patti con gli alleati per evitare, a quattordici mesi dall’insediamento, la prima crepa imponente. In Sicilia, al contrario, sognano tutti un posto al sole. Specialmente gli uscenti, spariti per cinque anni nell’eldorado di Bruxelles, e adesso talmente “disperati” da diventare pretenziosi: la leghista Tardino sarebbe pronta a rinunciare all’incarico di segretario regionale pur di avere un’altra possibilità, mentre Francesca Donato – che dalla Lega fuggì a gambe levate – ha sposato il progetto di Cuffaro (uno che più europeista e atlantista non si può), pur di aver il “green pass” per l’Europarlamento. Lei che era contro l’Europa, e i vaccini, faticherebbe ovunque, specie in quella Democrazia Cristiana il cui fondatore nasce medico. Ma la politica è un eterno compromesso anche coi propri (dis)valori.
In questo clima di incertezza e di veleni, a tornare in carica – per avere una carica – sono i classici personaggi che prenderebbero valanghe di voti anche al Grande Fratello, ma la cui attività politica, almeno in Europa, andrebbe certificata da una commissione che ne testimoni l’impegno per la circoscrizione (Sicilia-Sardegna in questo caso) in cui si è stati eletti. Orsù, dunque: quali sono i meriti attribuibili a Caterina Chinnici o a Pietro Bartolo per conferire loro un altro mandato nelle terre d’Europa? Quali grandi iniziative possono aver soddisfatto i due partiti che li spingono, Forza Italia e Pd, affinché ottengano un nuovo invito al tavolo dei grandi.
La Chinnici, dopo essere stata bocciata alle ultime regionali, è passata dai dem a Forza Italia, sfruttando la stima e l’amicizia di Antonio Tajani. Che adesso potrebbe ricandidarla in Sicilia, dove all’ultimo giro la figlia del giudice Rocco, ammazzato da Cosa Nostra, fece registrare 113 mila preferenze. Non per meriti politici, ma certamente per spessore personale e familiare. Ed è quello su cui punta Tajani. La scalata di Chinnici a Forza Italia, dopo l’atteso esordio a una convention del partito a Milano (con Berlusconi già ammaccato costretto ai videosaluti) si è materializzato lo scorso novembre a Taormina, per la convention organizzata da Marco Falcone. Cioè il contraltare di Schifani, che da mesi costruisce la propria scalata al partito e all’Europa. Falcone e Chinnici hanno dissuaso i vertici nazionali a concedere una scialuppa a Totò Cuffaro, con cui Schifani e Caruso avrebbero voluto federarsi nel listone. Falcone e Chinnici hanno messo all’angolo le velleità del governatore, e adesso sono pronti a prendersi tutto.
Forza Italia, nel 2019, era riuscita a eleggere un solo deputato a Bruxelles: Silvio Berlusconi. Che rinunciò per fare spazio al primo dei non eletti: Giuseppe Milazzo. Cioè l’uomo per cui si spese il partito a Palermo, che prima di arrampicarsi sul tavolo della presidenza del Consiglio al Comune e innescare una quasi-rissa, scelse la soluzione più facile: aderire a Fratelli d’Italia. Un debito di riconoscenza che la Meloni, o chi per lei, potrebbe dover saldare a maggio, ricandidandolo. S’è già tirato fuori, con un gesto da gran signore, Raffaele Stancanelli. Forse l’unico che avrebbe meritato, per storia e per coerenza, una seconda possibilità. Gli hanno fatto capire che non era aria, perché all’interno della compagine patriota erano cambiate le gerarchie: più spazio ai messiniani e ai musumeciani, con tanti saluti per gli altri. Non ci sorprenderemmo a rivedere in campo Ruggero Razza, né Elvira Amata, già fedelissima del Balilla all’assessorato regionale al Turismo.
Fra quelli che non mollano, come detto in premessa, c’è Annalisa Tardino. Anche se la candidatura della deputata di Licata appare difficile da gestire, soprattutto in prospettiva: intanto per la sostituzione, pressoché immediata, alla guida del partito; e poi perché finirebbe per essere appoggiata dal ‘federato’ Raffaele Lombardo, che gliel’ha promesso, al quale Salvini dovrebbe concedere una lauta contropartita (la presidenza della provincia di Catania?). Senza però scontentare il ‘rivale interno’ Luca Sammartino, uno dei protagonisti dell’ultima Finanziaria, ed enfant prodige della galassia leghista. Il Carroccio ha una classe dirigente eterogenea ma sfilacciata, che fatica a mantenere la strada. Che minaccia di tagliare la corda, se gli equilibri (in termini di voti) non venissero rispettati. Sammartino, che ha già rinunciato ad esprimere il candidato sindaco di Catania per amor di coalizione, non potrà accontentarsi a vita del ruolo di vice-Schifani. Gli sta stretto.
Dentro la Democrazia Cristiana, invece, l’europeista Cuffaro ha il suo bel da fare con la Donato, già fondatrice di Eurexit. Dopo non aver trovato sponda in Forza Italia, per volere di Tajani, l’ex governatore dovrà trovare un accordo con qualcuno (Italia Viva?) per avere una chance, anche minima, di arrivare al 4 per cento e far scattare un seggio in Sicilia. Chi dovrebbe avere la strada spianata, invece, è Pietro Bartolo, l’ex medico di Lampedusa, un esponente d’alto profilo cui il Pd non può rinunciare. Specie “questo” Pd: incapace, di volta in volta, di esprimere donne e uomini di partito (perché poco attrattivi). Alle Regionali, pensate la disperazione, si affidò alla Chinnici che non pronunciò una sola parola di dissenso rispetto alle politiche di Musumeci e della destra. Anche a Bartolo, al netto delle testimonianze sui migranti, andrebbe chiesto riscontro sugli ultimi anni trascorsi in Europa: a far che? Con quali risultati?
Non lo farà nessuno perché ha i numeri. Vincerebbe anche al Grande Fratello Vip, se decidesse di partecipare: ha un nome, una storia da raccontare, e poco importa se non c’azzecca con la politica. Bruxelles è diventata rappresentanza, vetrina. Tanto che Ignazio Corrao, uno dei parlamentari uscenti, ha di recente organizzato lezioni di lingua siciliana mettendo “a confronto le associazioni, il mondo accademico, gli studiosi, gli artisti e le istituzioni per tracciare un percorso concreto per far sì che i siciliani smettano di vergognarsi della propria lingua e che si abbattano le barriere e il pregiudizio sui nostri accenti ed espressioni”. Però Corrao ha un problema: l’iniziativa, che ha visto il coinvolgimento di grandi artisti come Salvo Piparo e Lello Analfino, non potrà aiutarlo ad essere rieletto. Perché Corrao, dopo la fuoriuscita dai Cinque Stelle, è rimasto senza partito. Come l’ex detestato collega Dino Giarrusso, che ha traccheggiato senza successo con Cateno De Luca e col Pd: il suo compito (e il suo tempo) in Europa può dirsi esaurito.
Cateno sta provando a raggiungere un’intesa con altri partiti per garantirsi (almeno) la partecipazione, i Cinque Stelle prima o poi troveranno un metodo (Conte ha già fatto sapere che non ci sarà). Nell’attesa che altri vengano allo scoperto: andare in Europa per cinque anni, senza dover dimostrare niente a nessuno, è un treno che passa poche volte nella vita. In tanti vorrebbero saltarci sopra, ma i siciliani ‘fortunati’ saranno solamente sei (più due sardi). E il casting sarà certamente più divertente dei prossimi cinque anni in aula e nelle commissioni.