Su questa estate siciliana potrebbero girarci un film, un colossal, e magari provare a farselo finanziare dalla Film Commission, che due spiccioli li trova sempre. Titolo: Estate, l’incubo di Sicilia. Non serve inventarsi chissà quale sceneggiatura. La pellicola scorre tutti i giorni sotto i nostri occhi; scandisce le giornate d’intere comunità, private del bene più prezioso (l’acqua); fa emergere tutti i limiti della politica – stavamo per dire, l’assenza – che sperimenta soluzioni impraticabili.
Come quella annunciata da Schifani lo scorso 5 luglio: una nave cisterna che avrebbe dovuto attraccare a Licata, nell’Agrigentino, per rifornire d’acqua (ne contiene 1.200 metri cubi) uno dei territori più in crisi. Sono passate due settimane e nessuno l’ha vista. Anche il sindaco, che aveva convocato una conferenza stampa assieme all’Aica, cioè la società incaricata della gestione del servizio idrico, non si dà pace: “Da parte nostra abbiamo creato tutte le condizioni possibili all’arrivo di navi cisterna nel nostro porto che è dotato di apprestamenti idonei ad ospitare questo tipo di attività. Tuttavia – dichiara Angelo Balsamo – la decisione sull’eventuale arrivo a Licata di una o più navi cisterna per rifornire di acqua una parte di città, non è di nostra competenza”.
Spetta alla Protezione civile decidere se utilizzarla. Ma per il momento Salvo Cocina è impegnato a stanare i responsabili del piano di razionamento che l’Amap, la società dell’acquedotto di Palermo, aveva imposto alla quinta città d’Italia e un’altra cinquantina di comuni a partire da lunedì. Schifani ha chiesto la testa dell’amministratore. Neppure la Cabina di Regia costituita a Palazzo d’Orleans lo scorso 10 aprile, ha avuto il tempo di occuparsi di Licata. E nemmeno di Ravanusa, dove l’acqua arriva una volta ogni 18 giorni. A elaborare un report dettagliato, prima che la notizia sbarcasse sulla CNN, è stato il parlamentare dei Verdi, Angelo Bonelli, che qualche giorno fa ha invitato la Meloni a farci un salto (ma la premier per le vacanze non si spinge mai oltre Ceglie Messapica).
Bonelli ha definito Ravanusa la “città simbolo del disonore d’Italia”. “Qui è un disastro. Le famiglie e le realtà produttive e agricole dell’agrigentino non hanno gli stessi diritti dei cittadini e delle cittadine che abitano in altre parti d’Italia, che aprono il rubinetto e hanno l’acqua corrente”. E ancora: “Ci sono decine di dighe la cui acqua non viene utilizzata perché non sono state collaudate. Lavori terminati da anni che non hanno avuto il collaudo, per questo motivo quest’acqua non viene usata e viene buttata a mare, e non può nemmeno essere utilizzata dagli agricoltori”. Inadempienze croniche che nessuna cabina di regia – neppure con la promessa sfrontata e un po’ illusoria di reperire fondi – è riuscita a contrastare. I soldi per i dissalatori non ci sono ma arriveranno (90 milioni a valere sull’Accordo di Coesione). E quelli promessi dal ministro Musumeci, una ventina di milioni a seguito della dichiarazione dello stato d’emergenza, sono bloccati nelle pastoie della burocrazia: solo il 17 per cento delle opere sono state ultimate dai soggetti attuatori (i Comuni, i Consorzi di Bonifica ecc.), molti progetti sono ancora da definire. Non se ne parla.
C’è una politica che urla per reclamare il privilegio di poter decidere (come accaduto a Palermo col caso Amap); e una politica che, sic et simpliciter, non decide. Il governo si è ridotto a riparare le autobotti e ad approvare improbabili graduatorie per l’erogazione del “bonus fieno” a cinque mila aziende, che solo a leggerlo fa tenerezza. La siccità non colpisce soltanto le province, i laghi, i fiumi che non sboccano più nel mare (come il Simeto), gli agrumeti a secco, gli allevamenti decimati e le caprette senz’acqua. Colpisce anche l’economia delle città, comprese quelle che vivono di turismo. Agrigento non è ancora capitale della Cultura – lo sarà nel 2025 – ma è già la capitale dell’emergenza: il Prefetto ha requisito alcuni pozzi per affidarli alle cure dell’Aica, il gestore idrico, per assicurare la distribuzione dell’acqua (per uso abitativo) secondo specifici criteri di priorità. L’ha fatto a prescindere da cosa pensasse Schifani, che non per questo l’ha umiliato pubblicamente come accaduto al povero Di Martino, di Amap.
Pesi e contrappesi di un’emergenza che tutti vedono, tranne la politica. Da meta di turisti e di poeti – Ovidio cantava le bellezze del lago di Pergusa, ma oggi sarebbe profondamente malinconico nel vederlo a secco – la Sicilia s’è trasformata in un inferno. Dove le vacanze possono diventare un incubo. E’ successo lo scorso anno con l’aeroporto di Catania, andato a fuoco per una ciabatta andata in corto. Succede questa volta. Per la siccità, per la monnezza in eccesso, per gli incendi. Piazza Armerina, che vanta la bellissima Villa del Casale (anche se ogni tanto sarebbe utile un po’ di manutenzione), è assediata dal fuoco. Da qualche giorno sono in azione intere squadre di pompieri, gli elicotteri e i canadair sorvolano i roghi e provano a spegnere le fiamme, per evitare che queste si propaghino verso le strade e le abitazioni. Ci sono anche i forestali, che non sono più giovanotti ringalluzziti, ma provano a dare una mano. Le assunzioni nel Corpo sono rimaste una chimera. Un impegno mai onorato dalla politica, che aveva anche promesso una riforma e non l’ha portata a termine (anche perché l’assessore Sammartino non è più tornato al suo posto).
La provincia di Enna è assediata dal fuoco, quelle vicine soffrono per la siccità, e sulla testa di tutte incombe la tagliola dei rifiuti. La discarica di Lentini, che serve 174 comuni della Sicilia orientale (e del Trapanese) non offre abbastanza garanzie. L’hanno chiusa un paio di svolte e Schifani, per ora, l’ha sfangata con tre distinte ordinanze. Ha minacciato di licenziare i due assessori colpevoli, ma non è più tornato sul problema. Che rischia di ripresentarsi. O forse la Regione pensa di essersela cavata con un regalino da 50 milioni ai sindaci per la copertura degli extracosti sostenuti a causa dello smaltimento della monnezza all’estero… Un capitolo che ha determinato l’aumento della Tari in moltissimi comuni, dove i cittadini si ritrovano a dover pagare a peso d’oro un servizio deficitario.
Non c’è nulla che funzioni. Nessun intervento della Regione che centri l’obiettivo, nessuna autorevolezza nei rapporti con Roma. E nessuna opposizione che faccia davvero l’opposizione: ieri il Pd ha lanciato la staffetta della sete, invitando gli aderenti (chi, esattamente?) ad organizzarsi in turni e rinunciare a bere per dieci ore. La registrazione avviene su una piattaforma. “La mobilitazione che vogliamo lanciare – ha detto il senatore Antonio Nicita, eletto nell’Isola – è una protesta forte contro questo modo di governare e un modo per esprimere solidarietà alla Sicilia e ai siciliani”. Difficile che possa bastare o impressionare qualcuno. La politica è scomparsa, proprio come il lago di Pergusa.