C’è la vitaminica coppia di coniugi di Prato che dà del tu quasi a tutti, dall’albergatore al pescatore, al benzinaio: “E’ il quarto anno consecutivo che veniamo qui in vacanza”. C’è l’impiegata quarantenne di Riva del Garda che temeva che la “dipendenza” fosse patologia: “Dopo due anni di seguito qui, l’anno scorso ho optato per le isole greche. Bellissime. Però era come se nella testa risuonasse un’eco, come se avessi nostalgia. Quando ho realizzato che la nostalgia era per quest’isola – pure in mezzo a quello splendore nell’Egeo – mi sono chiesta se avessi qualche rotella fuori posto. Rotella più, rotella meno, quest’anno sono tornata”. C’è l’imprenditore di Cervia che sta a Pinarella, l’Adriatico sotto casa: “Ma vuoi mettere, questo azzurro? Da sei anni sono fedelissimo”. C’è infine il professionista sardo – anche lui turista compulsivo – che certo è avvezzo a spiagge e acque da favola eppure “questo è l’unico arcipelago siciliano che mi ricorda il mare della mia Sardegna”.
Lampedusa è una specie di “malattia”. Un virus che ti entra dentro, sotto pelle. Arrivi, riparti e vuoi tornarci. Anche i siciliani, beninteso. Croce e delizia. Il mare dalle mille tonalità di azzurro/verde/blu e l’isola degli sbarchi dei migranti. I trasporti dal Continente che costano un occhio (e i low cost non sempre sono garanzia di puntualità, quest’anno una compagnia ha battuto il record delle 40 ore di ritardo) e i ristoranti sempre affollati. Le spiagge attrezzate a prezzi modici (20 euro due lettini e un ombrellone per l’intera giornata) o i locali “all you can eat” che da 10 a 15 euro offrono aperitivi da venti diversi stuzzichini di mare ma la benzina che è già a 2 euro tondi al litro e che spesso non arriva per due giorni o più e le riserve sono appannaggio dei noleggiatori di auto e scooter. La possibilità della vacanza family friendly con gli appartamenti già prenotati dall’inverno precedente e l’immondizia che purtroppo fa brutta mostra di sé dai cassonetti. La possibilità di ammirare il tramonto più a Sud d’Europa da Capo Ponente e l’Isola dei Conigli che, pur amorevolmente tutelata da Legambiente, non ce la fa proprio a non trasformarsi in un carnaio dalle 8,30 alle 19,30 e ci vorrebbe un “numero chiuso” che nessuno si prende la briga di istituire. L’isola della piccola economia conserviera (il pesce soprattutto) e quella dove per partorire devi partire due mesi prima della data presunta e raggiungere Agrigento, Caltanissetta o Palermo (perché qui non c’è un punto nascita né un’ostetrica H24) e, prima ancora che emetta il primo vagito, un figlio viene a costarti un botto.
Ma fosse solo la sanità pubblica, il problema. I trasporti, ad esempio. La Siremar sta aggrappata a questo “scoglio” da sempre coprendo la tratta da Porto Empedocle ma il sindaco Totò Martello (lista civica Susémuni, già dieci anni da primo cittadino – prima dell’era Giusi Nicolini – e adesso ritornato su quella poltrona) lamenta che le navi “non sono idonee, non rispettano gli orari, si guastano facilmente e dunque saltano le corse, insomma non sono conformi al capitolato d’appalto”, chiosa con termine burocratico. Ci sarebbe come alternativa la “Cossyra”, la motonave della Compagnia Traghetti delle Isole, ma quest’estate ha dato “buca” per motivi tecnici, da due mesi non salpa più da Porto Empedocle. Poi c’è l’aliscafo, tre volte a settimana. Insomma, poco, pochissimo, specie d’estate quando la densità abitativa dell’isola si moltiplica in modo esponenziale. L’aeroporto andrebbe riadeguato anche perché gli aerei arrivano e ripartono che è una bellezza.
Altro guaio, l’immondizia. “Paghiamo ogni anno un sacco di soldi per conferire i rifiuti nelle discariche siciliane (400 mila euro) e una cifra esorbitante per portarceli (1,4 milioni)”, si lamenta Martello. Bisognerebbe trovare una soluzione in loco ma non è facile. Però questa è anche l’isola dove ci si è ufficialmente liberati dalla plastica, proprio per ordinanza sindacale, non più una sporta della spesa, tutte di carta o di stoffa nei supermercati, e sugli scaffali solo merce in contenitori biodegradabili, non una confezione di stoviglie o posate inquinanti specialmente il mare. E i lampedusani sono orgogliosi di questo anche se hanno dovuto cambiare le quotidiane abitudini.
Altro tema scottante, le migrazioni. Tra realtà e sovraesposizione mediatica, tra solidarietà e tragedia, l’isola dell’accoglienza ha un centro che funziona bene, a sentire il sindaco (“se le regole si rispettano, se il trasferimento avviene nei tempi di legge non esiste emergenza alcuna”). E poi, già da tempo, molto prima ancora dei diktat salviniani, gli sbarchi erano notevolmente diminuiti.
Insomma non è tutto oro quel che splende sotto gli occhi di chi arriva per godersi Lampedusa una o due settimane, per chi vorrebbe magari comprar casa, per chi lo ha già fatto. Ma il mare, gli scorci, le calette, l’affabilità dei lampedusani brillantano anche quel che è un po’ grezzo o opaco, in quest’ultimo lembo del Vecchio Continente. Tanto che l’ultimo sintomo della “malattia” dei “compulsivi”, è quasi sempre un occhio lucido, poco di là dal gate.