A Erice, forse per via della calura che comincia a farsi sentire, hanno partorito un’idea destinata a lasciare tracce sui libri di storia, come la Perestrojka, la Rivoluzione d’ottobre e le cene eleganti ad Arcore. Spazi pubblici concessi solo ai proprietari di locali che dichiarano apertamente, per iscritto, il loro antifascismo. Se insomma nutri la velleità di voler mettere un tavolino fuori dal tuo bar o dal tuo ristorante hai l’obbligo di sottoscrivere una dichiarazione di adesione ai principi costituzionali dell’antifascismo. Se non lo fai niente tavolini, nemmeno uno sgabello col piede mezzo rotto, chiudere, andare e a casa anche i tuoi dipendenti. Prendere o lasciare. O così o niente, per usare un vecchio adagio tanto caro ai nostri genitori. Ve lo ricordate? O così o niente.

Per quanto folle possa sembrarvi, la mozione è stata approvata alla quasi unanimità dal consiglio comunale (si è astenuto un solo consigliere) e il sindaco donna, da quel che leggo, è pronto a passare alla storia e intanto concede interviste soddisfatte e compiaciute in cui mischia una boutade di mezza estate a cose sacrosante e intoccabili come l’impegno di Erice, e di ogni persona dotata di cultura, sensibilità e buonsenso, contro il nazifascismo.

Dico. Così intendete combattere questa guerra di civiltà? Venendo a bussare di notte alle nostre porte? Mettendoci sotto interrogatorio per certificare il nostro atto di contrizione? Parliamoci chiaro: la mozione del consiglio comunale di Erice, a prescindere dalla sua eventuale applicazione, non ha alcun fondamento logico e giuridico, perché se io ho le carte in regola – tecniche, burocratiche – per invocare un mio diritto non può esserci nessuna clausola che possa negarmelo, a maggior ragione se quella clausola pretende di estorcermi confessioni, tanto per restare in tema, in stile Gestapo.

Il fascismo vero travestito da antifascismo, le liste di proscrizione sull’onda emotiva, a questo siamo. Tu bambino buono puoi avere i tavolini sul marciapiede, tu bambino cattivo non puoi averli. Ravvediti e ne riparliamo. Davvero questa è la rivoluzione culturale che andate cercando, così intendete emanciparci da questi tempi bui, così credete di prendere le distanze da un ministro e un governo da cui non vi sentite rappresentati? Negando i diritti a chi li ha? Puntandogli la pistola alla tempia, mettendogli in mano una penna e fargli scrivere sotto dettatura “io sono antifascista?”.

C’è stato un tempo in cui andavano di moda, qui a Palermo, i commercianti che per dimostrare la presa di distanza dai mafiosi avevano questa sorta di obbligo morale di esporre l’adesivo sulla vetrina. Io ho sempre declinato l’invito, pur riconoscendo ai ragazzi di Addiopizzo meriti enormi, questi sì destinati sul serio a passare alla storia di questa città disgraziata. Sono un uomo libero, non faccio parte di alcun club e non ho bisogno di dimostrare la mia antimafiosità al mondo, tantomeno con un adesivo. L’antimafiosità, così come la distanza dal nazifascismo, la dimostri ogni giorno con la vita che vivi, col lavoro che fai, non con un’autocertificazione, non compilando un questionario di due paginette davanti a un pubblico ufficiale. Sapranno resistere i commercianti di Erice a questo populismo da supermarket, sapranno tenere duro di fronte a questo antifascismo da operetta?

Datemi ancora una speranza per prendere la moto e fare una corsa lungo la salita di Erice. Si mangia sempre bene all’hotel Moderno?