Vivo con la drammatica sensazione dello scampato pericolo, quel ponte crollato a Genova l’avrò percorso mille volte, soprattutto in moto. È un ponte che m’ha sempre messo paura, soprattutto a guardarlo da sotto, due minuti prima di entrarci dentro. E io, io che come ho detto vivo ogni giorno come se indossassi i panni del sopravvissuto, ci camminavo sopra e pensavo “vuoi vedere che crolla proprio adesso?”, e tutte le volte che non è crollato, un secondo dopo essere passato indenne da quel canyon profondo e pauroso, ho sempre pensato a questa storia del pericolo scampato che mi accompagna in mille altre cose della mia vita, un fastidio appiccicoso che non riesco a togliermi di dosso e che spesso mi nasconde la bellezza del viaggio (inteso in tutti i sensi).

Ho una fottuta paura dell’aereo però lo prendo e ogni volta che atterra mi pare un miracolo, divino oltre che di ingegneria. La mia paura cronica mi suggerirebbe la stanzialità, la mia natura mi dice il contrario e mi porta a viaggiare, conoscere, capire. Vivo tutti i ponti che percorro – veri e metaforici – col fatalismo di chi non si sente mai al sicuro da niente e da nessuno, forse nemmeno da se stesso.

Diranno adesso che quel ponte vecchio e arrugginito che con le sue curve e la sua altezza metteva paura – “e andiamo a Genova coi suoi svincoli micidiali” – era insicuro e che l’avevano segnalato e che blabla. Io guardando le campate sopravvissute al crollo, e quel camion in bilico e le macchine sbriciolate di sotto, ho pensato a tutte le volte che ci sono passato sopra regalando a me stesso l’illusione dell’immortalità e la terribile sensazione, perdonatemi la metafora abusatissima, che la nostra vita, ponte più ponte meno, non è nient’altro che una roulette russa.