Estate? L’incubo di Sicilia, avevamo titolato qualche giorno fa. Alle croniche lacune e alle ataviche emergenze, però, negli ultimi giorni se ne sono aggiunte delle altre. A partire del lento ma inesorabile sgretolamento di un’azienda del trasporto pubblico, che rischia di mandare sul lastrico 700 lavoratori; passando per una gestione dei rifiuti sempre più controversa, che fa registrare uno strano sabotaggio nell’impianto pubblico di Bellolampo; senza dimenticare che alcune aree dell’Isola – in primis il Trapanese, l’Agrigentino e l’Ennese – sono a secco da settimane, se non addirittura mesi. Un elenco di nefandezze che ci dà occasione di scrivere una prima e, comunque, parziale enciclopedia del malgoverno siciliano: comprende ritardi, incompiute, promesse mancate. A cui la Regione, per il momento, risponde con una trovata pubblicitaria da 500 mila euro per tentare di fermare l’emorragia dei turisti. Basterà? Ecco la rassegna di ciò che sta succedendo.
A come Ast. E’ l’Azienda Siciliana dei Trasporti, per la quale l’Ars, con l’ultima manovrina correttiva, stanziava 20 milioni a titolo di ricapitalizzazione e 18 per futuri investimenti. Un piano di “salvataggio” in piena regola che però non ha impedito il de profundis. Un mese dopo l’azienda è sul lastrico: la settimana scorsa sono saltate quasi mille corse e l’Ast è rimasta fuori dal bando della Regione per l’acquisto di nuovi autobus. Quelli attuali sono vetusti. Nel Palermitano l’Azienda ha a disposizione 110 bus, di cui 72 risultano guasti o in manutenzione. Dei 700 dipendenti della partecipata, quelli con contratto di lavoro somministrato (circa 150) ricevono lo stipendio in ritardo. L’Ast, dopo la gara per l’assegnazione delle tratte del trasporto pubblico, dovrà cedere progressivamente spazio ai privati (almeno per quelle più remunerative). Il burrone è a un passo.
B come Bellolampo. Sembrava che i disastri della monnezza riguardassero soltanto gli impianti gestiti dai privati (vedi Lentini). Invece anche l’impianto pubblico di Bellolampo, a Palermo, ha i suoi bei problemi. E’ di qualche giorno fa la denuncia dell’amministratore della Rap, Giuseppe Todaro, circa l’atto di sabotaggio compiuto da ignari – ma non è escluso a priori che si tratti di qualche franco tiratore della municipalizzata – nei confronti del tritovagliatore dei rifiuti, che per fortuna non comporterà grossi disagi all’attività di smaltimento della discarica. Preoccupano le circostanze: l’atto vandalico è avvenuto in una zona senza telecamere e a un mese dall’incendio appiccato in una scarpata nei pressi della settima vasca. Nel 2023, a causa di un rogo, i valori di diossina superarono di 35 volte i livelli consentiti. La situazione è da monitorare anche se rischia di diventare il barometro delle tensioni politiche: per la deputata Varchi e il senatore Russo, entrambi di Fratelli d’Italia, “la Rap non è in grado di vigilare sulla sicurezza del sito di Bellolampo. Abbiamo chiesto formalmente al Prefetto Massimo Mariani di convocare una riunione del Comitato per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica affinché si individuino le contromisure utili per affiancare l’azienda”.
C come Caltanissetta. A scippare a Ravanusa il primato dei giorni senz’acqua (18) è stata contrada Niscima, a Caltanissetta, rimasta a secco per 42 giorni. L’altra sera, un’iniziativa (“priva di bandiere”) ha acceso i riflettori su questa piccola realtà dimenticata. Come si fa a resistere per un mese e mezzo senz’acqua? E perché nessuno interviene? L’unica fonte di sostentamento sono le autobotti, che però costano un occhio della testa. “La cosa assurda è che in città ci sono zone dove l’acqua viene distribuita ogni tre o cinque giorni – lamenta Sergio Cirlinci, il residente a capo della protesta – e altre dove l’acqua la vediamo con il cannocchiale”. La Regione prova a tenersi stretti i turisti, ma è la gente del posto a soffrire i morsi della siccità. Agricoltori, allevatori: la guerra tra poveri è già iniziata.
I come incendi. Sono stati i 23 i roghi appiccati domenica scorsa nell’Isola, di cui la maggior parte in provincia di Agrigento (che non ha abbastanza acqua per spegnerli). Undici sono divampati lunedì. Nei giorni precedenti le fiamme avevano lambito la provincia di Enna, in particolare Piazza Armerina. Con questo caldo asfissiante, e col vento di scirocco sempre in agguato, l’emergenza non può dirsi conclusa. Si potrebbe invocare la danza della pioggia, che però non ha dato frutti per contrastare la crisi idrica. O, magari, si sarebbe dovuto agire tempestivamente sulla prevenzione, per evitare di mandare in fumo ettari di boschi e polmoni verdi, oggigiorno sempre più rinsecchiti. Ma non c’è stato un ricambio degli operai forestali – nonostante la promessa di un concorso, già espressa dall’ultimo accordo Stato-Regione – e non ci sono mezzi leggeri per spegnere le fiamme. E’ una partita a perdere, che l’inerzia risoluta di chi governa non ha aiutato a sovvertire.
L come liste d’attesa. Al di là dei proclami della politica, prenotare una prima visita o un controllo al Cup è un’impresa titanica. A prescindere dalla branca specialistica. Ci vogliono mesi per effettuare esami diagnostici prescritti dal medico di base. E la situazione negli ospedali è irripetibile: manca il personale e i concorsi, specie nei presidi di periferia, vanno deserti. La salute è affidata a un assessore fantasma e a 17 manager sulla cui testa pende, come una tagliola, il nuovo contratto da direttore generale: prevede che, al termine del primo anno, si possa giungere alla revoca dell’incarico se le liste d’attesa non saranno ridotte. Ci vorrebbero dei poteri magici che nessuno possiede. E se le aziende contrattualizzano le prestazioni con i privati convenzionati, parte la caccia alle streghe: “Hanno svenduto la sanità pubblica”. Non c’è via d’uscita.
R come riaccertamento. Quello dei residui attivi – un passaggio propedeutico alla liquidazione delle fatture alle imprese – procede piano. Il mondo della formazione professionale è in attesa di 350 milioni, le ditte idem. Questi crediti fino alla primavera scorsa valevano due miliardi, poi si sono dimezzati (Schifani crede sia merito suo, in realtà la strigliata ai dirigenti è arrivata a cose fatte). Ma molte voci, soprattutto quelle legate a finanziamenti comunitari o al Pnrr, rimangono in stand-by. I corsi si sono tenuti, i lavori sono stati conclusi, le prestazioni concordate con la Pubblica amministrazione già erogate, ma per la lentezza della burocrazia i pagamenti sono rimasti in alto mare. Pure questa, nonostante gli elogi di Standard and Poor’s alla Sicilia (con un parziale miglioramento del rating), è una piaga che si ripropone. Ne va della vita di centinaia di famiglie.
R “bis”, come Rosalia. E’ passato quasi in cavalleria, ma l’abbandono dei carri dopo il festino della Santuzza – non è la prima volta che accade – lascia senza parole. Realizzati da artisti di fama, con sacrificio e passione, non meritavano di finire alla mercè di vandali e malacarne. Vittime del degrado che avvolge la città non appena lo spirito religioso e l’immagine della santa smettono di brillare. Circa 350 mila persone si sono mosse la notte del 14 luglio per rendere omaggio a chi liberò Palermo dalla peste. Un’altra peste è in corso, e nessuno riesce a provvedere. Né la società civile, tanto meno la politica. Eppure le premesse erano altre, con l’immagine di Rosalia glorificata in giro per il mondo, da Tokyo a New York, con viaggi che non devono essere costati poco.
S come siccità. Problema già affrontato alla voce ‘Caltanissetta’, ma talmente grave da richiedere un asterisco. La Cabina di Regia, istituita dal presidente Schifani, rischia di rimanere un contenitore vuoto se non assumerà decisioni che siano in grado di cambiare il corso delle cose. Finora non è avvenuto, nonostante il richiamo all’Amap, il gestore dell’acquedotto di Palermo, a concordare insieme eventuali piani di razionamento idrico. Ma la Cabina di Regia, per ora, è soltanto una leggenda di una notte di mezza estate. Le cronache raccontano di un comune – Agrigento – che ha dichiarato lo stato d’emergenza idrica, annunciando “possibili disagi” di natura igienico-sanitaria; di un altro, Sciacca, dove interi quartieri sono rimasti a secco; di un altro ancora – Sambuca – che ha messo a disposizione un idrante nella piazza centrale della città per garantire l’approvvigionamento idrico utile al sostentamento del bestiame e delle produzioni agricole. E di alcuni agricoltori che, nel Trapanese, fanno i turni di notte per accedere a una fornitura d’acqua pubblica utile a irrigare i campi; ma ogni tanto l’acqua finisce, e hanno perso solo tempo (e sonno). Sembra il Medioevo.