Anche le micro-imprese siciliane che hanno abbassato le saracinesche per mesi, a causa dell’incedere (contenuto) del Coronavirus, dovranno pazientare per accedere ai contributi a fondo perduto della Regione. Si tratta delle attività che hanno un fatturato annuo inferiore a 2 milioni di euro, e che occupano meno di dieci dipendenti, a cui l’assessore alla Attività Produttive, Mimmo Turano, aveva deciso di dedicare un capitolo specifico dell’ultima Legge di Stabilità. Tra queste alcune imprese ricettive alberghiere, il cuore pulsante del turismo di prossimità (l’unico che funziona questa estate). Ma anche le iniziative lodevoli del governo in questi mesi si sono rivelate spuntate. I soldi materialmente non ci sono e ogni proposta rischia di finire nel calderone degli annunci. Come i 75 milioni che l’assessore al Turismo, Manlio Messina, aveva promesso per la prima settimana di luglio, che sarebbero serviti ad acquistare voucher per prolungare di una o più notti la permanenza dei turisti nelle strutture dell’Isola, con un’evidente ricaduta sull’indotto. Ma anche in quel caso non se n’è fatto nulla e difficilmente i voucher verranno stampati prima di settembre, a stagione ormai conclusa.
E’ il destino triste, solitario y final di una Regione che non riesce a prendersi cura di chi ha sofferto le pene dell’inferno a causa del lockdown. E che non riesce a ripartire. Se è vero come è vero che 8 italiani su 10 (indagine Airbnb) vorrebbero trascorrere le vacanze in Sicilia, e si attendono più turisti della scorsa estate, è assodato che molti hotel, strutture extralberghiere e ristoranti non potranno riaprire a causa della crisi. Una crisi per la quale non esiste cura. I fondi promessi a imprese e lavoratori, infatti, sono vincolati a un piano di spesa che Palermo non ha ancora esitato, e che Roma e Bruxelles dovranno approvare. Esiste soltanto una delibera di riprogrammazione dei fondi Fesr (si tratta di fondi comunitari) pari a 400 milioni, meno di un terzo del valore dell’ultima Finanziaria (1,4 miliardi), che fra l’altro il Ministro per il Sud Peppe Provenzano – le sorti della rimodulazione si decidono al Cipe – fino a domenica scorsa non aveva ricevuto.
Procede tutto a rilento, e persino l’ultima proposta di Turano – denominata “Bonus Sicilia” e apprezzata martedì in commissione Bilancio – rischia di rimanere incagliata nella burocrazia imperante. L’articolo 10 comma 16 della Legge di Stabilità, “al fine di assicurare la tenuta dell’intero tessuto produttivo colpito dall’epidemia Covid-19 e di fronteggiare la crisi che ne deriva, in considerazione dello stato di emergenza che richiede l’adozione di misure straordinarie, efficaci e veloci”, prevede la “concessione di agevolazioni, in forma di sovvenzioni dirette e di contributi a fondo perduto”. Allo scopo di rendere disponibile la liquidità necessaria prioritariamente per la copertura di alcuni costi fissi (fitti e utenze) nonché per la riduzione di fatturato”. Nell’ultima richiesta di parere inviata alla commissione Bilancio, il governo ha fissato la dotazione economica per sostenere la misura in 128,5 milioni di euro (nell’articolo si parlava di un ammontare complessivo “non superiore a 150 milioni”, di cui 20 destinati al comparto del florovivaismo). Ma la cosa che più inquieta – oltre alla tempistica, come ovvio – restano le modalità.
Il governo, infatti, dichiara che con i soldi a disposizione “potrebbe essere soddisfatto un bacino di potenziali beneficiari di circa 60 mila imprese per un contributo medio di 12 mila euro pro-capite” (e comunque, fino a un massimo di 30 mila euro), ma individua un iter procedurale semplificato che, piuttosto, potrebbe rivelarsi infernale: i richiedenti, infatti, dovranno rivolgersi alla piattaforma digitale ‘incentivi.regione.sicilia.it’ che appartiene all’Arit, l’agenza regionale dell’innovazione tecnologica. Le richieste verranno soddisfatte in ordine cronologico – cioè chi arriva prima meglio alloggia – mentre l’erogazione dovrebbe avvenire entro 45 giorni lavorativi a partire dalla data di pubblicazione dell’avviso (settembre?). La pecca, però, sta proprio nel “come”. Quella del click-day è stata una formula disgraziata, soprattutto negli anni del governo Crocetta, quando venne adottata – ad esempio – per il Piano Giovani. La corsa per accaparrarsi i tirocini della Regione, e una scarsa predisposizione da parte del sistema informatico ad accogliere un numero così cospicuo di domande, mandò i server in tilt, rendendo impossibile la compilazione del form e provocando una scia infiniti di ricorsi. Dopo le prime due finestre, ne arrivò una terza a distanza di due anni.
Ma senza andare troppo lontano, ricordiamo cosa è accaduto nei mesi scorsi per la cassa integrazione in deroga. Commercialisti e consulenti del lavoro, incaricati dalle imprese con meno di cinque dipendenti, e fuori dal circuito degli ammortizzatori sociali, produssero una fatica immane per caricare i dati sulla piattaforma del Silav adottato dalla Regione. E molti decreti non furono accettati dal sistema – di per sé rigidissimo – a causa di errori trascurabili. Il risultato è stato il blocco totale, una mozione di censura per l’assessore Antonio Scavone e le dimissioni del dirigente del Dipartimento Lavoro, Giovanni Vindigni, che pagò per tutti. Nel corso di una conferenza stampa, poi, si scoprì – con sorpresa di Musumeci – che a gestire il sistema informatico era la ETT, la stessa società esterna, contrattualizzata dalla Regione per tutto il 2020, che aveva determinato il caos attorno ai click-day del governo Crocetta: “Io mi sarei affidato al libero mercato – ha chiosato il governatore – ma questa è una situazione d’urgenza e non potevamo fare diversamente. Stiamo pensando a una riforma di Sicilia Digitale per evitare, in futuro, di affidarci ad altre consulenze esterne”.
Contro la decisione di procedere col click-day si è schierato il deputato del Movimento 5 Stelle Luigi Sunseri, che in una nota ha spiegato perché: “La Regione impari dagli errori del passato e non li ripeta – ha detto Sunseri, che è anche componente della commissione Bilancio – I siciliani sono tristemente abituati ai disastri dei click day. Il successo della partecipazione a queste iniziative è peraltro subordinato alla velocità della connessione internet dei partecipanti. Così in pochi secondi andranno via milioni di euro ma siamo sicuri che un’impresa delle Madonie avrà la medesima opportunità che avrà un’azienda di via Libertà a Palermo? La risposta la diamo noi: certamente no. Comprendiamo la necessità della Regione di immettere denaro nel più breve tempo possibile nella nostra economia ma al contempo abbiamo certezza che è un sistema che porterà solo fallimenti. Musumeci e la sua giunta rivedano questo criterio”. Per Attiva Sicilia, invece, il sistema utilizzato è il male minore: “Questa selezione non ci soddisfa pienamente, ma ipotizzare un bando, una istruttoria, una graduatoria e possibili ricorsi non farebbe che peggiorare le cose”.
Il tema è di grande importanza, ma resta tangente rispetto alla macro questione nel suo complesso. Cioè: quando si vedranno questi soldi? L’assessore regionale all’Economia, Gaetano Armao, ha appena ottenuto di poter trattenere nel Bilancio della Regione 780 milioni di euro circa come forma di compensazione per l’ira del Covid. Questi soldi – che palazzo d’Orleans avrebbe dovuto ascrivere al capitolo “contributo regionale alla finanza pubblica” – saranno spendibili in due tranche (la prima da 300 milioni) e potranno garantire lo sblocco di alcune misure della Finanziaria rimaste congelate (cultura, trasporti, enti locali). Ma non di quegli interventi che, come nel caso delle micro-imprese o dei voucher per i turisti, che insieme valgono 200 milioni di euro e hanno legato il proprio destino alla rimodulazione dei fondi Poc e Fesr (comunitari). Questi soldi non sono di diretta pertinenza di Armao né di Musumeci. I quali, da massimi rappresentanti della Regione e in sinergia con gli uffici dedicati (il dipartimento alla Programmazione), dovrebbero sollecitare una rapida conclusione della “trattativa” e inviare la documentazione a Roma: “A noi deve arrivare una proposta della Regione che non è ancora arrivata – ha detto il Ministro Giuseppe Provenzano – Questo ha delle ripercussioni sulla vita delle persone”. La parola “urgenza”, al 23 luglio, ormai suona come una terribile beffa.