Il primo effetto del nuovo corso Schlein, all’interno del Partito Democratico siciliano, è la discesa in campo di Enzo Bianco. Da civico. L’ex sindaco di Catania, che aspira a (ri)tornare a Palazzo degli Elefanti per la quinta volta, è stato fra i sostenitori più audaci e impegnati della mozione Bonaccini. Ma la tranvata subita dal governatore emiliano – soprattutto a Catania – ha imposto nuovi schemi: Bianco ha preferito sganciarsi dai partiti pur richiamando attorno a sé “le forze politiche di ispirazione riformista, progressista e moderate” e “chi in passato ha fatto scelte diverse dalle mie ma comprende che il futuro della città viene prima di tutto”. Un fritto misto in costruzione che spera di poter raccogliere i cocci delle spaccature del centrodestra (Lombardo e Cuffaro: perché no?) e magari l’appoggio del Terzo polo, vista la nota stima di Calenda nei confronti dell’ex sindaco.
A leggere questi ultimi movimenti – la 38enne che arriva alla segretaria, il 72enne che si sgancia – sembra giunto il momento di una nuova rottamazione. Sebbene Schlein sia profondamente diversa da Renzi, è il Pd a essere rimasto più o meno uguale. Ciò che la nuova segretaria, almeno in Sicilia, dovrà rottamare, non sono uomini e donne, ma il concetto di “potere” che ha permesso ai soliti di rimanere abbarbicati alle cariche pubbliche e alla base di scollarsi lentamente dal gruppo dirigente. Di non riconoscersi in questa sinistra, che appare sempre più distante dai temi predicati dalla nuova segretaria: la lotta alle diseguaglianze (un must per chiunque arrivi), il salario minimo, la mobilità sostenibile, la transizione ecologica, eccetera eccetera. Alla recita di Schlein Bianco ha scelto di non assistere. D’altronde, all’indomani dell’affermazione elettorale di Elly, fu il segretario del Pd siciliano, Anthony Barbagallo, ad evidenziare il solco fra la gestione precedente e quella nuova: “Finalmente una boccata d’aria fresca – si lasciò scappare l’ex deputato regionale, oggi alla Camera – Il percorso di rigenerazione e di ringiovanimento già avviato in Sicilia proseguirà, è certo, in modo ancora più evidente. Simpatizzanti e militanti hanno il polso della situazione che, al contrario, all’interno del Partito in tanti non hanno raccolto”.
Un messaggio chiaro ai padroni delle tessere; a chi mira a coltivare il proprio orticello usando lo scudo delle correnti, senza mettere il naso fuori; a tutti gli “ostili” che avevano attaccato pesantemente Barbagallo all’indomani del risultato ottenuto il 25 settembre. Non solo alle Politiche, ma soprattutto alle Regionali, dove la scelta di Caterina Chinnici s’è rivelata un buco nell’acqua. Ha significato l’abbandono della propria identità; il rifiuto a competere con la destra e a contestare cinque anni di governo Musumeci a cui il Pd, in precedenza, non aveva risparmiato critiche. Schierare ai nastri di partenza la magistrata, garbata per indole, è stato un falso storico, un autogol pagato a caro prezzo, per nulla remunerativo: la Chinnici, il giorno dopo lo spoglio, è volata nuovamente a Bruxelles, lasciando la dirigenza del partito con il cerino in mano. Di fronte a un tentativo di ricostruzione che ancora, a distanza di tempo, deve essere innescato.
Dai primi mesi dell’esperienza Schifani, che il Pd un po’ troppo cordialmente non ha contrastato, Schlein potrà certamente prendere spunto, per costruire una cosa altra, diversa. Magari puntando su chi possiede le energie per cavalcare la rivoluzione, anziché comprimerla. Su chi ha voglia di intestarsi alcune battaglie che, in questo primo scorcio di legislatura, hanno visto il Pd barcollare. Molti deputati, lo hanno ammesso in maniera candida, non hanno letto le carte sull’adeguamento delle indennità al costo della vita, contribuendo all’aumento degli stipendi di 890 euro al mese (la marcia indietro, mal riuscita, non fa testo); non hanno agevolato la risoluzione di alcuni scandali che hanno fatto drizzare le antenne a stampa e opinione pubblica (Cannes su tutti); hanno avallato una Finanziaria “omnibus” in cambio di alcune prebende sui territori; si sono pronunciati a favore della reintroduzione delle province, dimenticando ch’era stato Crocetta a cancellarle con un colpo di spugna. Ma la cosa peggiore, in quest’ultimo caso, è stato accodarsi al coro del “tanto peggio tanto meglio” senza mettere sul piatto una proposta che eviti agli enti intermedi di diventare la solita macchina spreca soldi. Magari succederà durante il dibattito in prima commissione, ma le premesse non sono incoraggianti.
Il test delle prossime Amministrative fornirà uno spaccato sulla maturità raggiunta dal Partito Democratico. Che da solo non andrà lontano. Lo ha capito Elly Schlein, che ha approfittato della manifestazione antifascista di Firenze per mettersi in posa con Giuseppe Conte e riannodare i fili dell’alleanza giallorossa che nel finale del governo Draghi è stata compromessa dalle posizioni grilline (anche in Sicilia la rottura è arrivata un attimo prima della presentazione delle liste, facendo venir meno il sostegno del M5s alla Chinnici). E nell’Isola? Pd e M5s hanno scelto strade opposte a Ragusa – il divorzio è stato sancito alla vigilia delle primarie, quindi non ricade formalmente fra le “responsabilità” di Schlein – ma negli altri Comuni c’è ancora tempo per organizzarsi. La fuga in avanti di Enzo Bianco a Catania sarà per il Pd etneo un primissimo banco di prova: in provincia Elly ha stravinto con oltre il 70%. Quanti sapranno resistere alla candidatura temeraria dell’ex sindaco e saranno in grado di opporre all’antica nostalgia il sapore di fare squadra? Anche a Siracusa i dem cercano una exit strategy dopo i rapporti tesi con l’uscente Francesco Italia. Idem a Trapani, dove Giacomo Tranchida, un uomo del Pd, non è mai riuscito a conciliare le due anime del partito.
Più in generale sarà compito della Schlein provare a forgiare la nuova immagine del partito: più plurale e meno inciucista; più meritocratica e meno poltronista. Sarà compito della Schlein cancellare le macchie degli ultimi mesi – a partire dalle pesanti ingerenze di Letta nella composizione delle liste per le Politiche – e dare fiducia a una classe dirigente diversa, giovane ed esigente, che fin qui ha pazientemente aspettato il proprio turno. Più che rottamare, è necessario sradicare una cultura che è costata sconfitte, irriconoscibilità, sfrenato correntismo. Non sarà una sfida facile.