In queste Europee che diranno poco su Bruxelles e tanto sui futuri equilibri palermitani, oltre a quella tra Cuffaro e Lombardo, spicca un’altra rivalità “interna”. Che nessuno – né Conte né la Schlein – avrebbe voglia di fomentare, ma che finirà per ridursi a una tragica conta (di voti). Nella sfida fra Pd e Movimento Cinque Stelle non c’è in ballo solo il destino dei due partiti (è abbastanza chiaro chi finirà davanti) bensì la guida della futura coalizione. E la ricerca dei giusti appoggi per spuntarla.
E’ per questo che il Partito Democratico, o una parte di esso, da tempo corteggia Cateno De Luca: una guida carismatica, il nuovo re dell’anticasta, proveniente da un vissuto tremendamente distante dai progressisti, che però potrebbe aiutarli a venir fuori dalla palude dell’opposizione. Ossia il ruolo a cui sono relegati da Crocetta in poi. Ci sarà il tempo per fare i calcoli, ma è come se la battaglia per un seggio in Europa – al M5s ne spetteranno un paio, al Pd quasi certamente uno – sia uno strumento per avanzare un diritto di prelazione sulle future competizioni. A cominciare dalle Regionali ’27, dove il quadro dovrà per forza ricomporsi (e non come nel ’22, quando si sgretolò all’indomani delle primarie).
Il rapporto fra Conte e la Schlein vive di alti bassi. Va un pochino meglio a livello locale dove Pd e Cinque Stelle, con il fondamentale collante di Sud chiama Nord, hanno imparato a fare politica insieme. Si è visto qualche giorno fa, nel giorno della firma dell’Accordo di coesione fra Schifani e Meloni al Teatro Massimo. La protesta imbastita dalle minoranze a Palazzo dei Normanni, voleva suscitare un moto d’indignazione nei siciliani, ma è riuscito a stento a solleticarli. E’ un tentativo fra i tanti. Anche se sono pochi, in realtà, gli esempi di una battaglia comune. Sugli scandali, ad esempio, i Cinque Stelle hanno alzato la voce con più determinazione rispetto ai colleghi, che da parte loro non hanno graffiato: né sugli investimenti a perdere di SeeSicily, né sulle mancate riforme, né sulla paralisi della sanità. Solo Cracolici ha discusso animatamente per il trattamento riservato dai vertici della Regione all’Orchestra Sinfonica, fatta naufragare e oggi commissariata. Per il resto, è buio pesto. Anche sul principale esercizio di Schifani: ossia le nomine di sottogoverno.
L’azione dell’esecutivo è in catalessi da alcuni mesi, ma anche le opposizioni si adeguano, concentrandosi su una campagna elettorale che, specie per il posizionamento neutro dei Cinque Stelle in Europa, non fornisce ai siciliani adeguati motivi per barrare il simbolo. Eppure Conte, nonostante i bagni di folla del passato siano soltanto un ricordo, continua a mantenere la testa nei sondaggi – almeno nell’Isola – e per questo ha deciso di chiudere la propria campagna elettorale a Palermo, venerdì. “Roccaforte era, e roccaforte rimarrà”. Anche se la squadra selezionata per l’Europa, a parte rarissimi picchi – come l’investimento su Giuseppe Antoci, ex presidente del Parco dei Nebrodi – non scalda i cuori. C’è l’ex sindaco di Bagheria Patrizio Cinque, finito nelle grinfie della giustizia prima di uscirne intonso; c’è il consigliere comunale di Palermo, Antonino Randazzo; o la prediletta del portavoce regionale Nuccio Di Paola, la gelese Virginia Farruggia. E peraltro il tifo della deputazione all’Ars è trasversale, non dichiarato. “Votiamo tutti perché è fondamentale votare il Movimento”.
Il Pd, dall’altra parte, è alle prese con un tentativo di rilancio che passa da una spaccatura evidente. Al suo interno c’è l’anima capeggiata da Anthony Barbagallo e l’ex ministro Provenzano, che appoggia convintamente la corsa di Antonio Nicita (già eletto al Senato un anno e mezzo fa); dall’altro, una grossa fetta di deputati regionali spinge per Giuseppe Lupo, ex collega all’Ars, che non aveva superato la tagliola di Caterina Chinnici quando l’europarlamentare si candidò alla presidenza. Lupo è stato assolto in un processo per corruzione, e nel frattempo si era reinventato consigliere comunale proprio a Palermo. Ora gioca un ruolo fondamentale: non solo per guadagnarsi un seggio al parlamento europeo, ma anche per mettere in discussione l’attuale segreteria. Nel mezzo di questa battaglia fratricida, sfilano gli “indipendenti”: dal medico di Lampedusa Pietro Bartolo, che ha preso la tessera ma è stato a un passo dalla rinuncia alla candidatura; passando per la vicecaporedattrice della Tgr, Lidia Tilotta, che con Bartolo aveva scritto un libro qualche anno fa. Come già fatto notare su questo giornale, manca – a parte Lupo – una chiara connotazione identitaria. I tanti candidati in prestito dalla società civile hanno il tempo contato (una legislatura, o al massimo un paio – come successo a Santa Caterina dei Misteri). Ma i problemi del partito restano.
E De Luca non potrà curarli tutti quanti. A proposito del leader rumoroso di Sud chiama Nord, che neppure una polmonite acuta ha distolto dal pazzo impegno della campagna elettorale – dove il 4 per cento a livello nazionale continua ad apparire proibitivo – sembra pacifico che il fatto di aver spostato il camper in Sicilia, per questi ultimi giorni di campagna, conservi l’ambizione di conservare uno zoccolo duro di consensi. Votare “Libertà” rischia di essere un’arma a doppio taglio: perché la lista è un melting pot culturale, con 19 simboli, e protagonisti in cerca d’autore (con dentro alcuni campioni dell’antimafia un po’ retrò) e rischia di non superare lo sbarramento.
Ma alle spalle di questo contenitore semivuoto, c’è la presenza forte e ingombrante di Scateno, con cui tutti dovranno misurarsi quando verrà il tempo. Cioè quando sarà logico cominciare a pensare a un’alternativa a Schifani e al centrodestra. Cinque Stelle e Pd dovranno approfittare di questa tornata elettorale per lucidare l’armatura, per dimostrare di avere ancora un’anima e non dipendere soltanto dal voto d’opinione. De Luca, che l’armatura ce l’ha già, da martedì potrebbe metterli in riga e, in caso di un discreto risultato elettorale, mettersi a capo delle truppe. Sarebbe l’unico “salvatore” possibile di fronte a un possibile sfacelo. Ci sono ancora tre anni per evitarlo.