La politica non ha compartimenti stagni. Per questo i risultati delle Europee rischiano di ridisegnare la geografia di palazzo d’Orleans, sede del governo regionale. Dove da un po’ di tempo a questa parte si rinvia una questione cruciale, di cui tutti, da qualche giorno, hanno ripreso a discutere in vista del redde rationem. Stiamo parlando del rimpasto di giunta. Anche Musumeci si è reso conto dell’incombenza: “Lo faremo entro l’estate” ha detto ai cronisti, durante un convegno organizzato dalla Cisl. Dopo la data del 10 giugno, quando verrà promossa un’iniziativa per ricordare Sebastiano Tusa, l’assessore ai Beni Culturali rimasto vittima di un incidente aereo ad Addis Abeba. Mai rimpiazzato dal governatore, che ha tenuto per sé l’interim. Non potrà andare avanti in eterno.
Le scosse che si registrano in queste ore riguardano Forza Italia. Quella “siciliana”, reduce da un 17% insperato (se rapportato al dato nazionale), è la più forte d’Italia. Hanno inciso l’apporto di Romano, nonostante i litigi, e i voti di Cateno De Luca, specie sul fronte messinese. Gianfranco Miccichè, che ormai da mesi teorizza un allargamento della casa dei moderati, ne esce ringalluzzito. Non solo. C’è tutta la questione del centro che ribolle. E ribolliva anche prima.
L’unico cambio in giunta, ad esclusione dell’addio di Sgarbi illo tempore e l’ingresso di Tusa, ha riguardato fin qui la componente ex Mpa del gruppo dei Popolari e Autonomisti, quella che fa capo a Raffaele Lombardo. Che aveva rimpiazzato Mariella Ippolito con il suo braccio destro Antonio Scavone, da poco assessore alla Famiglia. Ma già alla vigilia delle elezioni, e ancor prima dell’accordo con l’arci-rivale Saverio Romano (in quota Popolari), l’ex governatore di Grammichele era a un passo dal chiedere a Musumeci un’aggiustatina al precario equilibrio centrista – gli è stato suggerito di aspettare – che facesse il paio con la bilancia dell’Ars, dove i simboli dell’ex Mpa (Di Mauro, Compagnone, Pullara, Caronia) sopravanzano la componente popolare, che in giunta, però, vince per numero di assessori. Tra Lagalla e Cordaro uno potrebbe essere di troppo.
In questo giochetto al centro c’è anche l’Udc, la cui rappresentanza parlamentare – Figuccia e Lo Giudice, successore del sindaco De Luca, sono pochini – non mette al riparo i suoi esponenti di governo, Turano e Pierobon, da possibili imboscate. Magari per far accomodare un uomo dell’area rinnovata di “centrodestra”, che va da Micciché a Totò Cardinale di Sicilia Futura, che insieme hanno sostenuto la candidatura (e l’elezione) di Giuseppe Milazzo a Bruxelles (al suo posto in assemblea entra Totò Lentini). Per un posto nell’esecutivo potrebbe tornar buono Giuseppe Picciolo, che solo qualche mese fa si candidava all’assemblea nazionale del Pd.
Altra posizione sub judice è quella di Gaetano Armao, vice di Nello Musumeci, nettamente minoritario nei quadri azzurri che vanno delineandosi da domenica sera. Armao, infatti, aveva provato a scompaginare i piani di Micciché scegliendo di sostenere il sardo Salvatore Cicu, che però è affondato nel mare magnum delle preferenze (poco più della metà rispetto al 2014). Così, a pagare il prezzo dello smottamento di Forza Italia, che tuttavia non ha influito in termini di “risultato generale”, rischia di essere lo stesso Armao, che dall’inizio di questa vicenda si è conquistato parecchie inimicizie all’interno del partito.
C’è di più, ed è l’aspetto che accomuna tutto l’agglomerato urbano che si staglia attorno all’ex Dc: tre dei quattro assessori menzionati in precedenza – Cordaro, Lagalla e Turano – risultano indagati dalla giustizia per reati di vario tipo. Dall’abuso d’ufficio al voto di scambio. Esaurito il capitolo Europee, la questione morale (e del dibattito all’Ars) non potrà subire nuovi rinvii. Anche se alla vigilia del voto, parlando a “La Sicilia”, Musumeci aveva specificato che si trattasse più di questione politica che morale. Come se qualcuno volesse approfittare delle indagini per mettere a soqquadro dei tiepidi equilibri che si conservano da mesi.
Senza considerare l’ingresso in scena della Lega, che potrebbe sminuzzare quel che resta di una maggioranza di governo poco resistente. Il 20,8% ottenuto dal Carroccio nell’Isola, dove conta però su un solo deputato (Tony Rizzotto), potrebbe convincere l’establishment leghista a un allargamento numerico prima – Calderone, Genovese e la Caronia? – e a bussare alle porte di Musumeci poi. Chiedendo una finestra con vista sul governo regionale, grazie ai buoni rapporti che intercorrono fra il presidente e Salvini. Ruggero Razza, commentando il risultato delle Europee, si è focalizzato anche sui numeri del Carroccio oltre che sul valore complessivo del centrodestra (stimato intorno al 45%). Una mossa del genere, probabilmente, andrebbe a scapito dei centristi, che da questa tornata elettorale rischiano di uscire senza un eurodeputato e con un potere contrattuale ridimensionato.