L’antimafia che non vede e perdona

Il giudice Paolo Borsellino

In nome della lotta alle cosche – ma quali cosche? – tre professionisti dell’antimafia hanno conquistato nel giugno scorso un seggio al parlamento di Strasburgo. Prendete il nome più altisonante dei tre: Caterina Chinnici. A lei il tribunale delle anime belle ha perdonato tutto, persino il cambio di casacca; persino l’innamoramento improvviso per il partito dell’odiato Silvio Berlusconi e l’intesa sottobanco – si fa ma non si dice – con la Dc del reprobo Totò Cuffaro. Due mosse azzardate che le hanno comunque consentito di aggiudicarsi, per la terza volta, l’elezione all’europarlamento con allegato un vitalizio non inferiore a ventuno mila euro al mese. Altro che pacchia.

Ma gli effetti, a dir poco bizzarri, dell’antimafia della chiacchiera e della fuffa non si fermano qui. Nel nome di Paolo Borsellino, massacrato trentadue anni fa nella strage di via D’Amelio, i patrioti di Fratelli d’Italia con in testa Arianna Meloni, sorella della premier, hanno tenuto giovedì a Catania una manifestazione all’interno della quale ha piritolleggiato un noto campione della legalità e della trasparenza: quell’ex assessore regionale che, per quasi tre anni, ha fatto carne di porco del turismo, dello sport e della cultura, bruciando – ad uso e consumo della sua carriera e dei suoi pagnottisti – non meno di venti milioni di denaro pubblico. Uno scandalo di proporzioni enormi sul quale è stata già aperta un’istruttoria per danno erariale dalla Corte dei Conti e sul quale, prima o poi, dovrà prendere una decisione anche la procura del Tribunale di Palermo sui cui tavoli giacciono da tempo i documenti sequestrati dalla Guardia di Finanza negli uffici dell’assessorato, in via Notarbartolo.

Ma questi sono dettagli che al nostro campione di legalità interessano poco e niente. Ieri, a Catania, gli interessava piuttosto celebrare la festa del perdono. E sì, perché a questi avventurieri della politica le adunate antimafia servono solo per ripulire la propria immagine dalle cose brutte che hanno commesso o agevolato durante la loro folgorante carriera; dagli sprechi, dagli abusi, dagli azzardi, dalle scempiaggini e dalle ruberie che hanno costruito sapientemente nei retrobottega del potere. Al nostro campione l’adunata di Catania è servita, oltre che per incipriare di buonismo e legalitarismo le malefatte sue e della corrente turistica che a lui fa capo, anche per avere l’apertura di una finestra nel meraviglioso mondo delle anime belle: quelle che credono di governare l’opinione pubblica con i loro giudizi taglienti e i loro profondi pensamenti; quelle che si dichiarano ad ogni piè sospinto democratiche e progressiste; quelle che si indignano per le pagliuzze e purtroppo non vendono mai le travi; quelle che difendono a spada tratta la libertà di informazione ma che poi, magari senza accorgersene, finiscono per conferire una patente di statista anche all’ultimo furbetto del quartierino. Queste nobili figure ieri mattina, manco a dirlo, hanno dato pubblicamente al nostro campione di legalità ampia benedizione e consacrazione. Viva l’antimafia.

Giuseppe Maria Del Basto :

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