Fateci caso. Zelanti, zeloti, anime belle e professionisti dell’antimafia sono gli utili idioti dei quali il potere spesso si serve per nascondere le sue malefatte. Prendete Forza Italia. Il partito di Berlusconi ha in Sicilia gli armadi pieni di scheletri: governo inesistente, collusioni inconfessabili, pagnottisti mantenuti illegittimamente ai vertici del sottogoverno e persino un opaco avvocato d’affari trasformato, con un’azzardata interpretazione della legge, in un vice presidente occulto della Regione. Ma che importa. In vista delle elezioni europee di giugno i Tajani, gli Schifani, i Caruso hanno calato la rete nel grande mare del trasformismo e hanno pescato una professionista dell’antimafia come Caterina Chinnici – che non vede, non sente ed è muta, appunto, come un pesce. L’hanno candidata con l’onore della capolista, le hanno garantito la riconquista di un seggio a Strasburgo e tutti i peccati dei forzitalioti sono stati di colpo cancellati. Col risultato che la bandierina della legalità e della lotta alle cosche (quale lotta? quali cosche?) fa ora da copertura al malgoverno, alle indecenze, ai giochi sporchi sulla sanità, alla mala politica. Guardate in faccia i leader, i vice leader, i ventriloqui, i galoppini e le mezze calzette che si agitano in questa campagna elettorale: sono tutti lì sul palco, felici e spensierati, che celebrano la festa del perdono.
Oppure prendete Fratelli d’Italia. Il partito di Giorgia Meloni ha le mani in pasta nel più limaccioso scandalo degli ultimi vent’anni: SeeSicily, una voragine che ha bruciato almeno venti milioni di euro. Ma le anime belle dell’Assemblea regionale – capitanate dal patriota Gaetano Galvagno e riunite in una sorta di Gran Consiglio: il consiglio di Presidenza, appunto – anziché avviare, hic et nunc, un dibattito sul colossale spreco di denaro pubblico hanno preferito appuntarsi sul petto la medaglia delle multe da infliggere ai deputati che risulteranno assenti ingiustificati nelle sedute di Sala d’Ercole. Lo zelo parlamentarista – non a caso declamato come una conquista di civiltà – è diventato di fatto un comodo alibi ad uso di chiunque voglia minimizzare, insabbiare, nascondere, zittire. Dopo la trombonesca decisione sulle multe, ad esempio, un deputato dell’Ars difficilmente potrà rimproverare al presidente Galvagno di tenere sotto tutela il Balilla, suo fraternissimo amico, e tutti i patrioti che hanno partecipato alla grande abbuffata del Turismo. O no?
Ma in questo malinconico girotondo di furbizie e ipocrisie, anche le anime belle hanno bisogno di un alibi. E lo trovano utilizzando il cosiddetto metodo Calenda. Il leader di “Azione” come si ricorderà, in occasione delle elezioni “presidenziali” del settembre 2022, arruolò in Sicilia, come candidato per Palazzo d’Orleans, l’avvocato Gaetano Armao, un multicasacca impelagato in consulenze e in vertenze tutte da decifrare, un professionista inseguito dall’Agenzia delle Entrate per tasse non pagate, un procacciatore di incarichi e poltrone di sottogoverno: insomma un mestierante della peggiore politica. La candidatura, ovviamente, non superò i confini dello zero virgola. Ma Carlo Calenda anziché vestire il saio penitenziale e chiedere scusa agli elettori per una sua scelta decisamente sbagliata, ha preferito indossare la tonaca del Torquemada, fustigatore puro e duro dei costumi altrui. E con il furore mistico di un inquisitore del Sant’Uffizio, passa il tempo a perseguitare Totò Cuffaro, simbolo irredento di tutti i mali della Sicilia, e a flagellare chiunque pensi di accostarsi a uomini della Dc, partito che lui si ostina a considerare il luogo geometrico degli infetti e degli appestati.
Il metodo Calenda è diventato ormai per le anime belle una via di salvezza: se vi sentite degli utili idioti del potere, non vergognatevi e non abbiate paura; trovatevi un alibi, sputacchiate su Cuffaro e vi guadagnerete certamente il Paradiso.