L’ennesimo sigillo di precarietà della gestione contabile di Gaetano Armao è giunto venerdì, alla vigilia di Natale, quando la giunta – riunita all’ultimo minuto, come ogni anno d’altronde – ha approvato la proposta di esercizio provvisorio dell’assessore all’Economia. Quattro mesi di ‘limbo’ – dal primo gennaio al 30 aprile – in cui la Regione potrà spendere solo in dodicesimi. Facendo, cioè, riferimento alle poste di Bilancio del 2020, senza apportare alcuna variazione. Senza poter canalizzare la spesa sugli interventi più utili e più attuali. Senza un piano (vero) di rilancio per la Sicilia. Un modo raffazzonato di fare le cose. Un modo di procedere che Musumeci, durante la campagna trionfale del 2017, aveva deciso di bandire una volta per tutte: “Mai più esercizio provvisorio”. Ebbene sì, con quello approvato in giunta un paio di giorni fa, siamo al filotto: cinque consecutivi.
L’ultimo era stato approvato dall’Assemblea regionale il 19 gennaio 2020 a seguito dell’accordo Stato-Regione (quello che avrebbe consentito a palazzo d’Orleans di spalmare il disavanzo in dieci anni), e dopo qualche giorno di gestione provvisoria (cioè di spesa congelata: eccetto per poche voci come stipendi e bollette). Anche stavolta servirà l’incipit di Sala d’Ercole per arrivare al ‘via libera’ definitivo. Magari entro la fine dell’anno o, più probabilmente, all’inizio del prossimo: l’aula al momento è convocata per il 30 dicembre, anche se il testo del disegno di legge dovrà prima passare in commissione. Trattandosi di un atto meramente tecnico, e per l’assenza di alternative, la sua discussione ha sempre comportato pochi minuti.
Ricorrere all’esercizio provvisorio è il manifesto dell’operato di un governo poco avvezzo al rispetto delle scadenze. Certo, l’assessore potrà usare ogni arma di persuasione: uno su tutti è il recente accordo di finanza pubblica chiuso con Roma, e non ancora ‘validato’ finché la Legge di Bilancio non sarà esitata anche dalla Camera dei Deputati (è stata già approvata in Senato). Armao potrà sempre sostenere che sono stati i tentennamenti del Ministro Franco, e il ritardo nella firma, ad aver mandato per le lunghe l’approvazione delle Variazioni di Bilancio, che bisognava chiudere per legge entro il 30 novembre. Ma poiché mancavano 66 milioni, frutto del potenziale accordo con lo Stato, la partita si è conclusa solo il 22 dicembre, in tempo utile per le ultime compere di Natale. Dal testo della ‘manovrina’ sono stati esclusi tutti gli emendamenti aggiuntivi, che il presidente dell’Ars ha promesso di allegare al prossimo esercizio provvisorio. A meno che non si tratti di interventi utili e indifferibili, però, sarà difficile convincere il parlamento.
Più facile che tutto slitti alla prossima primavera, quando l’aula, dopo aver incassato la proposta della giunta, dovrà varare la Legge di Bilancio e soprattutto l’ultima Finanziaria della legislatura. La più ricca, dal momento che dai recenti accordi chiusi da Armao e Musumeci, ci si aspetta di liberare un tesoretto di circa mezzo miliardo. Potrebbe rappresentare un redde rationem all’interno della maggioranza, giacché da aprile alle elezioni mancheranno pochissimi mesi. Prima di procedere, però, bisogna fare i conti le questioni in sospeso. Manca, ad esempio, la parifica della Corte dei Conti sul rendiconto 2020. E anche sul rendiconto 2019 la partita è tutt’altro che chiusa. Qualche giorno fa le sezioni riunite della Corte dei Conti in Sezione giurisdizionale, a Roma, ha depositato le motivazioni della recente sentenza con cui bocciava l’operato della Regione, facendo emergere un disavanzo da 8,5 milioni a causa di una illegittima quantificazione del Fondo crediti di dubbia esigibilità (FCDE). “Così – scrive Luigi Sunseri, del Movimento 5 Stelle -, a differenza di quanto hanno ritenuto le sezioni riunite Siciliane, nel bilancio di assestamento, il FCDE deve essere aggiornato con l’esercizio in corso di rendicontazione”.
Inoltre, a detta della Corte dei Conti di Roma, la tesi condivisa dalle Sezioni riunite siciliane avrebbe un effetto deresponsabilizzante sulle amministrazioni in scadenza di mandato, dal momento che potrebbe abbassare l’efficienza nelle riscossioni nell’ultima fase del loro mandato, per ragioni elettorali, facendo leva su tale “irresponsabilità contabile”. La Corte dei Conti di Roma afferma, poi, che la Regione Siciliana avrebbe illegittimamente distolto risorse dal Fondo sanitario per destinarle al pagamento di un debito contratto con lo Stato. “Una spesa- evidenzia Sunseri – che non attiene in nessun modo alle prestazioni per beni e servizi sanitari da erogare o già erogati”. Si tratta dei 127 milioni annui, a partire dal 2016, che la Regione avrebbe ‘distratto’ dal Fondo sanitario per pagare un mutuo con lo Stato. Un episodio su cui sarà la Corte Costituzionale (presso cui hanno presentato un controricorso anche Musumeci e Armao) a esprimersi. Con questi mille nodi da sciogliere, ci mancava solo un altro esercizio provvisorio.